http://www.anzarouth.com/2010/05/mesilat-yesharim-13-astinenza-prishut.html
Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Per esempio: il cibo e le bevande, quando conformi a tutte le norme alimentari, sono permessi. Tuttavia, rimpinzarsi la pancia induce a scrollarsi di dosso la sottomissione [a Hashem], mentre scolare vino ha come conseguenze la dissolutezza e altri vizi. E a maggior ragione, chi si abitua a mangiare e bere a sazietà sopporterà malissimo una eventuale eccezione alla sua abitudine e per questo motivo si dedicherà con grande impegno al commercio e all’accumulo [di beni materiali], affinché la sua tavola sia sempre imbandita secondo la sua volontà; e così verrà indotto a macchiarsi di truffe e di malefatte, poi anche di spergiuri e di altri peccati che ne conseguono. E finisce per allontanarsi anche dal servizio di Hashem, dalla Torà e dalla preghiera; astenendosi fin dal principio da quei piaceri avrebbe evitato tutto questo.
E dissero qualcosa di questo tipo riguardo alla legge sul figlio ribelle (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin, 72a): “La Torà ha capito in anticipo cosa diventerà il figlio trasgressivo e ribelle11: alla fine, dilapida il patrimonio di suo padre, non riesce più a ricordare ciò che ha studiato, si apposta a un bivio e deruba il prossimo“.
E riguardo alle perversioni, [i Maestri] dissero (Talmud Bavli, trattato Sotà, 2a): “Chiunque veda una Sotà12 durante la sua disgrazia, si astenga dal vino.”
E vedrai che questo è un validissimo stratagemma per l’uomo al fine di salvarsi dal proprio istinto, poiché data la difficoltà di sconfiggerlo quando si sta già compiendo il peccato, bisogna tenersene a distanza ben prima che ciò avvenga: in questo modo, il cattivo istinto troverà molto difficile spingere l’uomo alla trasgressione.
Per esempio, il rapporto coniugale con la moglie è assolutamente consentito, tuttavia già fu decretato l’obbligo del bagno rituale per chi avesse avuto emissioni seminali (Talmud Bavli, trattato Berakhot 22a), per evitare che gli studiosi13 frequentino le loro mogli [con l’assiduità] dei galli. Questo perché, malgrado l’atto in sé sia permesso, ciononostante esso imprime nell’animo dell’uomo questa tentazione, che può degenerare conducendolo a fare ciò che è vietato. Come dissero i Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin, 107a): “Esiste un membro nell’uomo che quando lo si sazia ha fame e quando lo si affama è sazio“. E inoltre dissero di Rabbi Eliezer (Talmud Bavli, trattato Nedarim, 20b) che, perfino nei momenti [in cui i rapporti sono] consentiti e nei tempi [loro] appropriati, scopriva una spanna e ne ricopriva due e sembrava agitato da uno spettro14, per non trarre beneficio neppure dai propri momenti di piacere.
La Torà non ha richiesto che vestiti e ornamenti sfuggano ai canoni di bellezza o che abbiano una forma particolare, bensì che siano privi di composti vietati15 e che siano provvisti di Tzitzit16: questo è ciò che rende tutti gli indumenti permessi17; e ciononostante tutti sanno che gli abiti di lusso e i ricami conducono alla superbia e ai limiti della dissolutezza, oltre che all’invidia, alle tentazioni e alla frode, conseguenze degli acquisti dispendiosi. E già dissero i Maestri di benedetta memoria (Bereshit Rabba, cap. 22): “Quando vede un uomo che cammina con sussiego, si tocca gli abiti e si arriccia i capelli, l’istinto malvagio dice ‘Costui mi appartiene!'”
Le passeggiate e le discussioni che non contengono trasgressioni sono certamente permesse dalla Torà. Eppure, quanto spreco di [tempo di studio della] Torà ne deriva, quanta maldicenza, quante bugie e quante pagliacciate! E dissero (Proverbi 10, 19): “In una moltitudine di parole non manca mai il peccato.“
La regola generale è che, essendo tutte le attività di questo mondo portatrici di pericoli immani, colui che cerca una via di scampo e se ne allontana di frequente è certamente degno di lode. Questa è la forma corretta di astinenza: non fare nessun uso di questo mondo se non di ciò che è indispensabile perché necessario per natura. È di questo che si compiaceva Rabbi Yehuda Hanassi, come ricordato in precedenza, affermando di non avere mai tratto profitto di questo mondo neppure in misura del suo mignolo, malgrado la sua posizione di leader del popolo ebraico e che la sua tavola fosse simile alla tavola dei re, come si addice al suo rango. E i Maestri di benedetta memoria, riguardo al versetto (Bereshit 25, 23): “Ci sono due popoli nel tuo ventre” dissero (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà 11a): “Si tratta di Rabbi Yehuda Hanassi e Antoninus18, al cui tavolo non mancarono mai lattuga, zucchine e rape, né nella stagione del sole né in quella delle piogge“.
E lo stesso si può dire anche per Chizkiyahu, re di Giudea. E tutti gli altri testi che ho citato sostengono e insegnano che l’uomo deve astenersi da ogni piacere di questo mondo, per non incorrere nei suoi pericoli.
E se tu chiedessi: se è dunque vero che questa attitudine è necessaria e imprescindibile, perché i Maestri non l’hanno imposta, così come hanno imposto [altri] decreti e disposizioni?
La risposta è chiara e semplice: i Maestri hanno imposto unicamente decreti che la maggioranza può rispettare, ma la maggior parte delle persone non possono diventare dei santi. È già sufficiente che siano dei giusti. Invece, compiere questi atti di santità che non sono alla portata degli altri spetta all’élite del popolo, cioè a quegli eletti che ambiscono a meritare la vicinanza di D-o benedetto e a estendere questo loro merito a tutto il resto della collettività che da loro dipende. E questi atti sono proprio le astinenze di cui parliamo, perché questa è la volontà di D-o: infatti, non essendo possibile che tutta la popolazione si trovi esattamente sullo stesso piano, per via dei diversi livelli di intelligenza degli individui, che si trovino perlomeno alcuni eletti che si dedicano a raggiungere un grado elevato di perfezione; e grazie a loro, anche quegli altri meno bendisposti meriteranno l’amore di D-o benedetto e la Sua Divina Presenza. Proprio come ciò che dissero i Maestri di benedetta memoria riguardo alle quattro specie che compongono il Lulav19 (Midrash Vaikra Raba 30, 12): “Che vengano questi e che espino per quegli altri“. E abbiamo anche visto che Eliahu [Hanavi] di cara memoria disse a Rabbi Yehoshua ben Levi, quando questi gli rispose riguardo all’episodio di Ula bar Koshev20 (Talmud Yerushalmi, trattato Terumot 8, 4): “E non sarebbe questa la regola?” E anche lui gli rispose: “E sarebbe questa la regola per i devoti?“
Invece l’astinenza del tipo sbagliato è quella degli stolti che non si accontentano di astenersi di ciò di cui non hanno bisogno tra le cose di questo mondo, ma si privano anche dell’indispensabile e affliggono i loro corpi con tormenti e altre usanze fuori luogo che Hashem non desidera affatto. Al contrario, i Maestri hanno detto (Talmud Bavli, trattato Taanit 22b): “È vietato all’uomo imporsi delle torture“. E riguardo alla Tzedakà dissero (Talmud Yerushalmi, conclusione del trattato Peà 8, 9): “Chiunque abbia bisogno di ricevere [Tzedakà] e invece rinuncia, si rende colpevole di spargimento di sangue“. E riguardo all’espressione (Genesi 2, 7) “Un essere vivente” dissero anche (Talmud Bavli, Taanit 22b): “Fa’ vivere l’anima che ti ho dato“. E riguardo al detto “Colui che si impone un digiuno viene chiamato peccatore” spiegarono (Talmud Bavli, Taanit 11b) che si riferisce in particolare a chi non è in grado di sopportare la sofferenza. Hillel (Midrash Vaykra Raba 34, 3) riferiva il versetto (Proverbi 11, 17): “Colui che è buono fa del bene a sé stesso” alla colazione del mattino e si lavava la faccia e le mani in onore del suo Creatore, deducendo [questa usanza] a maggior ragione dalle effigi dei re21.
Ecco quindi la vera regola: è bene che l’uomo eviti tutte le cose di questo mondo che non sono indispensabili per lui; ma se invece rinuncia a ciò che per qualunque motivo gli è indispensabile, diventa un peccatore perché quella cosa gli è necessaria. Questa è una regola chiara. Ma l’applicazione pratica di questa regola in ogni circostanza è affidata alle considerazioni di ogni individuo e (Proverbi 12, 8) “Ogni persona va lodata secondo la sua intelligenza“, perché non è possibile compendiare tutti i dettagli: essi sono troppo numerosi e l’intelletto umano non può assimilarli tutti insieme; deve invece affrontare ogni caso particolare quando si presenta.
Note del traduttore:
[11] Si veda Devarim (21, 18-21).
[12] La Sotà era una moglie sospettata di adulterio. La procedura per accertare i fatti e permettere a lei e a suo marito di salvare il matrimonio è discussa nel trattato di Sotà.
[13] Talmidè Chakhamim nel testo originale.
[14] Cioè si affrettava.
[15] I divieti di Kilaim includono il divieto dello Shaatnez, che impone che la composizione di nessun indumento comporti lana e lino insieme (si veda Vaykrà 19, 19 e Devarim 22, 11).
[16] Le frange menzionate più volte tra i precetti della Torà (si veda Bamidbar 15, 38-40 e Devarim 22, 12).
[17] Ovviamente, questo succede quando i vestiti rispettano anche le regole della decenza e convengono alla persona che li porta.
[18] Diversi passaggi del Tamud narrano la grande amicizia tra il Maestro Rabbi Yehuda Hanassi (il redattore della Mishnà) e l’imperatore Antonino. Il nostro testo cita la ricchezza della loro mensa, ma va menzionata soprattutto quella del loro prolungato dibattito intellettuale.
[19] Questo è il famoso Midrash sui frutti che hanno odore e sapore e quelli che non ne hanno. Lo studio del testo originale di questo Midrash sembra richiedere una chiave di lettura diversa e suggerire un significato diverso da quello che gli viene generalmente attribuito: il lettore in cerca di approfondimenti interessanti per il suo studio non mancherà di trovarne in questo Midrash.
[20] In breve: quando il profeta Elia rimproverò Rabbi Yehoshua ben Levi (un importantissimo Maestro del Talmud) per una sua decisione, questi protestò affermando di avere agito secondo la regola. Al che Elia rispose che effettivamente la regola è quella, ma il devoto deve agire seguendo i canoni della devozione e quindi la decisione da prendere avrebbe dovuto essere diversa.
[21] Se le immagini dei re che ornano circhi e teatri vengono curate e ripulite da un inserviente che viene ricompensato per questa mansione, a maggior ragione un uomo, creato a immagine e somiglianza di Hashem, deve accudire a sé stesso.
Commento al capitolo 13 (ultima parte)
E a maggior ragione, chi si abitua a mangiare e bere a sazietà: L’eccesso di cibo e bevande, sebbene non sia formalmente proibito dalla Torah, conduce all’assuefazione e l’assuefazione porta alla dipendenza. Questa si esprime a sua volta in due modi possibili, una volta che non si abbia denaro sufficiente per procurarsi ciò di cui si ritiene di aver bisogno: 1) lavorare di più, trascurando altre incombenze non meno importanti, come lo studio; 2) rubare e compiere altre trasgressioni. La visione di Ramchal è in un certo senso in contrasto con quella di Maimonide, che vedeva nei divieti della Torah tutto ciò da cui l’uomo deve guardarsi.
…legge sul figlio ribelle: Cfr. Devarim 21, 18-21: “Quando un uomo abbia un figlio traviato e ribelle, che non dà ascolto a ciò che dice suo padre e a ciò che dice sua madre e, pur castigandolo, non dà loro ascolto, suo padre e sua madre lo prenderanno, lo porteranno dagli anziani della sua città e al tribunale di quel luogo e diranno agli anziani della sua città: ‘Questo nostro figlio è traviato e ribelle; non dà ascolto alle nostre parole; è un ingordo e un ubriacone’. Allora tutti gli uomini di quella città lo lapideranno e morirà: così estirperai il male di mezzo a te e tutto Israele verrà a saperlo e ne avranno timore”. La Tradizione Orale spiega che il “figlio traviato e ribelle” è colui che ruba per soddisfare la propria ingordigia: egli non è passibile di morte finché non abbia mangiato un certo quantitativo di carne e bevuto un certo quantitativo dopo aver rubato a suo padre quanto necessario per procurarseli. La pena capitale non si giustifica con quanto ha fatto nel frattempo, ma gli è comminata in vista “dell’esito finale della sua condotta. La Torah, cioè, prevede la fine della sua inclinazione… Dice pertanto la Torah: ‘Che egli muoia da innocente e non da colpevole!’” (Rashì ad loc. sulla base di Sanhedrin 72a). I Maestri del Talmud, peraltro, affermano che si tratta di un caso mai verificatosi, che la Torah presenta unicamente come spunto per lo studio e la riflessione teorica.
Si astenga dal vino: Cfr. cap. 11, commento alle parole: Posso abbracciarla e non è peccato”. Commentando Wayqrà 26,5: “E la trebbiatura raggiungerà per voi la vendemmia e la vendemmia raggiungerà la semina”, il Kelì Yeqar osserva che l’espressione “per voi” (cui attribuisce il senso: a vostro piacimento) è adoperata solo per la trebbiatura del grano e non per la vendemmia: ne deduce che il vino, a differenza del pane, non ci è concesso a nostro piacimento, ma va bevuto solo nelle occasioni di Mitzwah.
E vedrai che questo è un validissimo stratagemma per l’uomo al fine di salvarsi dal proprio istinto e non soltanto dalla trasgressione occasionale. Questa è la differenza fra zehirut (vigilanza) e perishut (astinenza).
L’obbligo del bagno rituale per chi avesse avuto emissioni seminali: Cfr. Mishnah Berakhot 3,4, 22a; Bavà Qammà 82a: Qualunque emissione seminale è fonte di impurità secondo la Torah (Wayqrà 15,16; Devarim 23,11), ma l’impurità stessa non pregiudica di per sé lo studio della Torah o la preghiera, perché “la Mia parola è come fuoco” (Yirmeyahu 23,29) che non è soggetto ad alcuna impurità. Tuttavia ‘Ezrà istituì per questa particolare forma di impurità il divieto di dedicarsi allo studio e alla Tefillah finché l’interessato (ba’al qeri) non abbia compiuto il bagno rituale per evitare che gli studiosi indulgano eccessivamente nell’intimità con le proprie mogli. Il Talmud spiega peraltro che anche tale istituzione non è stata accolta ed è caduta presto in disuso (cfr. Maimonide, Hil. Qeriat Shemà’).
E ai limiti della dissolutezza: La parola levush (“abito”) è spiegata da alcuni come una crasi di lo vosh (“senza vergogna”), nel senso che l’abito ha la funzione di ricoprire le parti del corpo che sono fonte di pudore. Spiega R. Yossef Chayim di Baghdad nel suo commento Em ha-Melekh a Rut che l’abito ha la funzione di unificare le membra del corpo umano in una prospettiva che riproduce nell’uomo l’Unità del Creatore e pertanto non può essere troppo succinto. Ma qui Ramchal insiste su un altro aspetto: evitare il lusso. “Non vi erano giorni di festa come il 15 Av e Yom Kippur –dice la Mishnah al termine del trattato Ta’anit- in cui le ragazze solevano uscire (in cerca di marito) con abiti bianchi presi in prestito, onde non imbarazzare i non abbienti”. Ramchal peraltro parla dell’impatto dell’abito non sugli altri, ma sugli stessi che lo indossano. La letteratura rabbinica di ogni tempo è luogo è piena di disposizioni suntuarie volte alla limitazione del lusso specie nella vita contingentata e nell’angusto spazio dei Ghetti!
In una moltitudine di parole: Un detto afferma che ciascun essere umano ha un numero massimo di parole che può pronunciare in vita sua, solo che nessuno di noi lo conosce…
…Se non di ciò che è indispensabile perché necessario per natura: ma in nessun caso si raccomanda un’ascesi che sia innaturale, come il celibato e la clausura. Si raccomanda invece l’astensione dal superfluo e l’adozione del minimo indispensabile, che tuttavia non può essere uguale per tutti e deve essere sempre commisurato al singolo individuo. Dell’astinenza “cattiva” si parlerà a fine capitolo.
Ci sono due popoli nel tuo ventre: la profezia si riferisce a Ya’aqov e Esaù, che il Talmud considera i rispettivi antesignani di Israele e Roma.
Lattuga, zucchine e rape: non si menziona la carne. In Bavà Metzi’à 85 si motivano i disturbi intestinali di cui R. Yehudah ha-Nassì soffrì per molti anni con il fatto che un giorno un vitellino destinato al macello aveva trovato riparo sotto il suo vestito e con tutto ciò R. Yehudah lo rimandò indietro dicendo: “Va’, perché sei stato creato a questo scopo”, mostrando scarsa compassione. Ma questo non costituisce per forza prova di una successiva inclinazione di R. Yehudah ha-Nassì al vegetarianesimo. R. Moshe Cordovero riconosce l’esistenza di una gerarchia fra i regni della natura per cui ognuno eleva quello precedente assorbendolo sotto forma di cibo: i vegetali consumano i minerali, gli animali consumano i vegetali e l’uomo, con la stessa logica, consuma l’animale.
…ma la maggior parte delle persone non possono essere dei santi: lett. chassidim. Non a tutti si può chiedere di prendere le distanze dai piaceri terreni e da ciò che non è strettamente indispensabile. Alla maggioranza –scrive Ramchal- basta essere semplici tzaddiqim e non chassidim, dove per tzaddiqim si intendono coloro che si attengono scrupolosamente alle prescrizioni della Halakhah senza tuttavia adottare misure personali più rigorose della Legge stessa come invece fanno i chassidim. Il Messillat Yesharim è l’unico testo dell’età moderna a essere stato adottato tanto nei circoli dei mitnagghedim che dei chassidim. Peraltro il chassidismo è posteriore a Ramchal, seppure di poco: Ramchal morì nel 1746, mentre il Ba’al Shem Tov nel 1760, ma è chiaro che a Padova quest’ultimo non era ancora conosciuto.
Per via dei diversi livelli di intelligenza: per Ramchal la perishut non è un fatto mistico, ma legato allo studio e alla razionalità.
…riguardo alle quattro specie che compongono il Lulav: il celebre Midrash paragona le quattro specie a quattro tipi di Ebrei considerando il profumo e il gusto di ciascuna di esse come metafora dello studio e delle buone azioni. Queste ultime in particolare hanno una rilevanza speciale per i chassidim.
…E sarebbe questa la regola per i devoti?: “Se un gruppo di viandanti (ebrei) si imbatte negli stranieri che dicono loro: ‘Consegnateci uno di voi e lo uccideremo, altrimenti vi uccidiamo tutti’, si lascino uccidere tutti ma non consegnino un’anima in Israel. Se però (gli stranieri) hanno indicato per nome uno di loro come era accaduto con Sheva’ ben Bikhrì (cfr. 2Sam. 20) e abbiano detto: ‘Consegnateci il tale, altrimenti vi uccideremo tutti’, in questo caso è permesso consegnare la persona indicata per salvare le altre” (Yerushalmì Terumot 8,10). Essendo questa persona già comunque condannata a morire può essere consegnata per la salvezza delle altre. Tuttavia il Talmud non si accontenta di affermare che è lecito consegnare un Ebreo alla morte, sia pure a determinate condizioni e riporta un episodio storico più recente. Un certo ‘Ullà bar Qoshev era ricercato dai Romani e riparò a Lod presso R. Yehoshua’ ben Levì. Dopo che ebbero circondato la città, R. Yehoshua’ prese la decisione di consegnarlo. Il Talmud racconta che da quel momento Eliahu ha-Navì smise di visitare R. Yehoshua’ come aveva fatto per l’addietro regolarmente. R. Yehoshua’ lo evocò mediante digiuni: “Perché non mi visiti più”? “Forse che devo venire a trovare un delatore?” fu la risposta. “Ho messo in pratica la Mishnah!” protestò R. Yehoshua’, ma Eliahu ha-Navì gli ribatté: “Forse che la prescrizione della Mishnah si addice a un Chassid come te (Mishnat Chassidim)?” Da altri avremmo tollerato che si attenessero al permesso di consegnarlo, ma non da una personalità del tuo calibro! Questo è lo spunto della citazione dell’episodio nel Messillat Yesharim. Secondo alcuni R. Yehoshua’ ben Levì avrebbe dovuto affidare il ricercato alla folla senza occuparsene personalmente. Se da un lato il comportamento da chassid non si addice a tutti, d’altro lato da chi abbia già raggiunto il livello del chassid ci si aspetta un comportamento conforme come obbligatorio e se ciò non accade egli dovrà renderne conto: è quanto R. Yehoshua’ ben Levì ci insegna.
Invece l’astinenza del tipo sbagliato…: Anche Maimonide (Shemonah Peraqim, cap. 5) sostiene l’importanza dell’astinenza, ma in modo più “morbido” di Ramchal: “E’ necessario che l’uomo sottometta tutte le facoltà della sua anima alla ragione… Egli deve indirizzare tutti i suoi atti, la sua attività e il suo riposo e tutte le sue parole verso tale fine, al punto che fra le sue azioni non ve ne sia alcuna inutile, cioè non finalizzata a tale scopo. Così nel mangiare, nel bere, nel dormire, nella sessualità, nella veglia, nell’attività egli non tenderà che alla salute del corpo, ma lo scopo della salute corporale è affinché l’anima possa disporre di strumenti sani e perfetti, onde servirsene per acquisire scienza, virtù morali e intellettuali e per poter raggiungere quel fine… Se per esempio si è perduto l’appetito, si dovrà stimolarlo con cibi appetibili, gradevoli e saporiti. Se si è colpiti da ipocondria si cercherà di debellarla ascoltando canti e diversi tipi di musiche, passeggiando per i giardini e in mezzo a edifici maestosi, circondandosi di belle immagini e altre simili cose che rasserenano l’anima e le tolgono l’angoscia dell’ipocondria”.
…si rende colpevole di spargimento di sangue: in ebraico shofèkh damim, con un gioco di parole: damim significa infatti “sangue”, ma anche “denaro”.
Colui che si impone un digiuno viene chiamato peccatore: Indulgere in digiuni aldilà di quelli comandati è argomento di discussione fra i Maestri della Mishnah. La scuola di R. El’azar considerava il digiuno uno strumento pienamente raccomandabile: egli sosteneva che il digiuno è superiore persino alla beneficenza, perché questa si fa solo con il denaro, mentre il digiuno impegna tutto il corpo. “Il digiuno indebolisce gli istinti. Proprio colui che domina il suo istinto è chiamato prode e la sua preghiera viene accolta”. Nel suo approccio pratico alle difficoltà, invece, R. Yossi è contrario. Nella Tosseftà (Ta’anit 22b) è riportata la sua opinione in proposito: “Persino il singolo individuo che si trovi perseguitato o braccato non ha il permesso di affliggersi con digiuni per non indebolirsi. In tal caso finirebbe per ricadere sulla collettività e la collettività non avrebbe per costui alcuna commiserazione”. La norma viene stabilita in linea di principio secondo la prima opinione, ma con dei limiti. Il digiuno è commendevole e in certi casi persino un obbligo, purché lo si faccia non fine a se stesso, ma con spirito di pentimento. Come l’antico sacrificio espiatorio animale non aveva alcun valore se non accompagnato dalla confessione, così il digiuno oggi non ha alcun valore se non accompagnato dalla Teshuvah. In secondo luogo si deve essere in grado di reggerlo fisicamente, altrimenti si è chiamati “peccatori” secondo tutte le opinioni. Gli insegnanti non devono imporsi digiuni non comandati, perché ne risentirebbe la loro attività. R. Yonah da Gerona scrive che è sufficiente attenersi a ciò che prescrive la Torah. Per il resto, se non si è abbastanza robusti è preferibile limitare la propria assunzione di cibo piuttosto che astenersene del tutto, perché limitarsi si può fare ogni giorno, mentre digiunare no. Contenere l’appetito è dunque una disciplina molto più continuativa ed efficace del digiuno.
…è affidata alle considerazioni di ogni individuo: l’uomo è una creatura razionale e come tale è chiamata individualmente a ponderare se l’esito di una certa disciplina alimentare agevola la sua abilità ad adempiere agli scopi cui è chiamato oppure la ostacola: questo è ciò che conta.