La vista e la parola svolgono un ruolo fondamentale nel riconoscimento della tzara’at. L’espressione “we-raàh ha-kohen – il Kohen vedrà” compare numerose volte nelle parashot di Tazria’ e Metzorà’. Lo stesso metzorà’ può iniziare il suo percorso di purificazione solo dopo che il Kohen ne ha verificato l’effettiva guarigione. Nessuno, tranne il Kohen può riconoscere la presenza di Tzara’at, e sino a quando il Kohen non fa una dichiarazione formale, l’individuo, il vestito o l’abitazione rimangono puri. Per questo, per l’abitazione, la procedura è ritardata sino a quando questa non sia stata svuotata del suo contenuto, per evitare di rendere impuro anch’esso.
L’Or ha-Chayim paragona il discorso del Kohen a quello dei due malakhim che accompagnano gli individui nella propria abitazione il venerdì sera quando verificano se ha preparato lo Shabbat come si deve, e il secondo angelo, ascoltando la dichiarazione del suo compagno, suo malgrado dice Amen. Il Chafetz Chayim, spiegando la dimensione propria di questa mitzwàh, riporta un midrash secondo il quale quando Moshèh ricevette tale comandamento ebbe una reazione particolare, perché considerava avvilente che suo fratello Aharon guardasse queste piaghe, come se fosse una deminutio per lui. H. non accolse questa obiezione, perché i Kohanim avevano privilegi rispetto al resto del popolo, tali da giustificare un compito del genere, e soprattutto, considerando l’effetto delle azioni del Kohen, espiare i peccati di Israele, certamente ne valeva la pena. Qual è il messaggio che il metzorà’ deve trarre, mentre il Kohen, attraverso la sua bocca e i suoi occhi, decide il suo futuro? Che i suoi occhi e la sua bocca lo hanno portato a ciò. La maldicenza, da cui, secondo i chakhamim, la tzara’at deriva, è determinata dalla vista. L’assistere ai successi altrui porta a parlare male. Visto che c’è un deficit nella vista e nella parola, il metzorà deve apprendere il potere di questi strumenti, e questa riparazione non può essere fatta che dal Kohen, che non è un medico, per spiegarci che la radice di questo fenomeno non è fisica, ma di natura spirituale. Shem miShemuel, citando il Kuzarì, scrive che le chiazze bianche sul corpo sono indice della scomparsa della luce divina, allo stesso modo in cui un corpo senza vita perde il suo colore naturale.
Attraverso il contatto con il Kohen il metzorà’ sarà portato a fare teshuvàh e pregare e il Kohen pregherà per lui. Dice l’Alshekh, l’impurità si contrasta con la purità, per questo è indispensabile il Kohen. Il Sefer ha Chinukh sostiene che questa mitzwàh ci insegna che esiste la provvidenza divina, e per questo la Toràh le dedica così tanto spazio. Infatti l’ebraismo si pone a metà strada fra coloro che ritengono che vi sia un assoluto determinismo, e quindi tutto ciò che si verifica al mondo, anche la semplice caduta di una foglia, sia frutto di una volontà divina, e l’assoluta negazione di un interesse della divinità rispetto a quanto avviene in questo mondo. Introducendo il brano la Toràh definisce chi viene colpito da tzara’at “adam”, termine che viene utilizzato nel Tanakh abbastanza raramente, e che ha la particolarità di non avere un plurale. Rav Ganzfried, l’autore del Kitzur Shulchan ‘Arukh nota come la maldicenza caratterizzi non solo il popolo ebraico, ma tutto il genere umano.
Ma perché allora non troviamo la tzara’at negli altri popoli? L’unità non è un elemento costitutivo per gli altri popoli, mentre lo è, anche se è strano sentirlo dire, per Israele. Infatti la radice delle nostre anime è comune, e la nostra unità essenziale. Per questo motivo la divisione provocata dalla maldicenza è tanto grave per noi! La tzara’at viene proprio perché siete “adam”, se foste stati semplicemente “anashim” (che è un plurale) non avreste avuto tzara’at! L’esistenza della tzara’at è secondo il Kuzarì il segno della presenza del sacro in mezzo a noi, Difatti oggi la tzara’at è a noi sconosciuta. A quel tempo la maldicenza era considerata una colpa estremamente grave. La maldicenza porta divisione, con il suo cinguettio (e per questo per espiare la sua colpa dovrà portare dei volatili) il maldicente divide fra moglie e marito, distrugge solide amicizie. Perciò, cosa che non avviene per gli altri impuri, verrà messo fuori dall’accampamento.
La bocca e gli occhi però non sono solo in grado di procurare danni, ma possono fare anche del bene. La parola è l’elemento maggiormente caratterizzante dell’uomo, che è, secondo la definizione aristotelica un animale parlante. Il tema centrale del Seder di Pesach è quello della narrazione, e durante il Seder l’elemento visivo è costantemente presente “questa matzàh che noi mangiamo…”. Molti dei passaggi del seder sono destinati a risvegliare la curiosità dei bambini. Questo non vale solo la sera di Pesach. Tutta la nostra tradizione utilizza questi due strumenti. Dobbiamo mostrare ai nostri figli cos’è una vita di Toràh, e lo devono vedere con i loro occhi, avere l’esperienza sensoriale dello studio, della preghiera e del rispetto delle mitzwot, affinché li accompagnino tutta la vita. La vista e la parola sono molto potenti, e dobbiamo mostrarci idonei a usare questi strumenti.
Per questo dobbiamo educarci ad utilizzarli adeguatamente, vedendo il mondo di buon occhio e parlando bene, sfruttando le nostre capacità per lo scopo grandioso per cui sono state create. Nel Midrash Shocher tov è scritto che quando David ha-melekh disse la frase “yiyihù leratzon imrè fì – siano graditi i detti della mia bocca”, che recitiamo alla fine della ‘amidàh, chiese ad H. che la recitazione dei Tehillim fosse gradita “come le piaghe e le tende”, che sono l’argomento della nostra parashàh, e sono fra i temi più complessi all’interno della tradizione orale. Ma non sono gli unici argomenti complessi. Perch{ David ha scelto proprio questi esempi? Spiega l’autore del Meshekh Chokhmàh: non tutti i kohanim sono sapienti, e se non c’è un kohen sapiente ci si dovrà rivolgere ad un sapiente per valutare una certa situazione, ma la purità o l’impurità dipenderà sempre e comunque dal Kohen, anche se non avrà comprensione di quanto sta avvenendo, e delle conseguenze delle sue parole. Questo è quanto chiede David: che i suoi Tehillim possano essere sempre graditi ad H., anche se chi li legge non comprende minimamente ciò che sta leggendo.