Rav S. R. Hirsch in Bema’galè Shanàh (2,92) definisce Tu biShvat “una data che ci richiama alla riflessione”. Questo giorno in Israele effettivamente ha una sua rilevanza, in particolare nella vita agricola, sia perché in questo momento la natura si accinge a risvegliarsi dopo l’inverno, e sono scese già la maggior parte delle piogge invernali, sia perché questa data costituisce uno spartiacque per stabilire i contributi che l’agricoltore dovrà riconoscere. Ma per gli ebrei che vivono in Diaspora questo giorno rappresenta piuttosto una data nel calendario.
Non vi sono conseguenze particolari, se non l’atmosfera festiva che trova espressione nella tefillàh, nella quale non si recita il tachanun, e l’uso di questa data per calcolare gli anni dell’orlàh che si applica anche al di fuori della terra d’Israele per disposizione rabbinica. Ma Rav Hirsch ritiene che questo giorno ci fornisca un’occasione straordinaria per ragionare in profondità sullo spirito dell’ebraismo. In Diaspora l’estate appare ancora lontana, ma questo può insegnarci di confidare sempre nella salvezza, anche quando questa sembra un miraggio. L’autore del Chovot ha-levavot (Sha’ar ha-bechinàh) ritiene che l’uomo debba chiudere gli occhi per poi riaprirli come se fosse la prima volta che vede il mondo. Per questo ci è stato dato il sonno: quando ci risvegliamo possiamo vedere il mondo come se fosse nuovo. La normalità intorpidisce le nostre sensazioni. Il vecchio (yashan) ha la stessa radice del dormiente (yashen). Per questo nello Shemà diciamo “asher anochì metzawechà ha-yom – che ti comando oggi”: le mitzwot devono apparire sempre come nuove ai nostri occhi.
L’abitudine e il conseguente addormentamento possono avere delle conseguenze disastrose. Il rinnovamento della natura che ci circonda volge il nostro cuore verso colui che l’ha creata. Come diciamo nella birkat ha-levanàh “ se Israele avesse il merito di venire incontro a loro padre che è in cielo una volta al mese, sarebbe sufficiente loro”. R. Yonàh spiega che la contemplazione della natura ci porta a vedere colui che l’ha creata. Allo stesso modo il profeta Isaia (cap. 40) dice: “alzate i vostri occhi al cielo e vedete chi ha creato queste cose”. Nello Zohar è scritto che i termini mi (chi) ed ellèh (queste cose) assieme formano Eloqim. Ha-teva’ (la natura) ha il valore numerico di Eloqim. Perché diamo così tanta importanza alla luna? Il sole meriterebbe maggiore attenzione! La luna ci fornisce un messaggio importante, che è quello del rinnovamento. Il sole sorge sempre uguale a se stesso. Questa riflessione tocca anche il consumo della frutta. Il Maharal (Netiv ha-‘avodàh) spiega la ghemarà in massekhet Berakhot (35b) secondo la quale “chi gode di questo mondo senza recitare la berakhàh è come se commettesse una frode”. Ogni essere è una testimonianza della grandezza di H- Chi mangia un frutto distrugge una testimonianza. Per questo si deve recitare la berakhàh, perché la nostra testimonianza rimpiazza quella che distruggiamo.
Il Talmud Yerushalmi nel trattato di Qiddushin dice che “l’uomo dovrà rendere conto per ciò che i suoi occhi hanno visto e non ne ha tratto godimento”. H. ha dotato il mondo di numerosissime meraviglie, e l’uomo è tenuto a sperimentarle e ragionare sui sapori, gli aspetti esteriori e gli odori. Il Bet ha-shoèvàh (cap. 12) scrive a nome del Chafetz chayim che si dice che la manna che i nostri padri mangiarono nel deserto potevano assumere tutti i sapori, e ciascuno percepiva un certo sapore in base a quello che pensava. Ma, se non si pensava nulla, la manna non aveva alcun sapore. E’ risaputo che l’uomo è paragonato ad un albero. L’albero ha il tronco piantato la terra ed i rami, l’uomo ha la testa e gli arti che sono simili a rami. Come l’albero prende il suo nutrimento dalla terra, l’uomo lo ricava dal cielo. Tu bishvat capita sempre nei giorni in cui si legge la parashàh di Beshalach, in cui è scritta la Shirat ha-yam, che nella berakhàh Gaal Israel, dopo la lettura dello Shemà’, è definita shiràh chadashàh (una cantica nuova). La Cantica del mare non è stata pronunciata solamente all’apertura del Mar Rosso. Le parole “az yashir – allorà canterà” che aprono la cantica sono considerate dai chakhamim una delle prove della risurrezione dei morti dalla Toràh. Nel passato è celato il rinnovamento futuro. Dicono i chakhamim: (gli ebrei) sono stati redenti a Nissan, e sono destinati ad essere redenti a Nissan. R. Israel miSalant spiega il verso “poichè Israele è un ragazzo (na’ar) e lo amo” in questo modo: l’ebreo rimane sempre un na’ar perché è ‘er (sveglio), si rinnova continuamente.