Nel Minhàg provenzale attestato a Cuneo il Seder Rosh ha-Shanah comprende, oltre a tutti gli assaggi consueti di buon augurio, due cibi in più non documentati altrove: la cipolla (in ebraico batzàl), accompagnata dalla formula she-nechesseh be-tzel kenafekha (“che possiamo ripararci all’ombra delle Tue ali”) e l’anguria o cocomero (in ebraico avatìach) dalla stessa radice della formula she-nassim bekhà bitchonenu (“che possiamo riporre in Te la nostra fiducia”). Aldilà dei giochi di parole consueti in questi auspici è opportuno analizzare il fatto con maggior profondità allo scopo di comprendere meglio quest’uso (leyashèv et ha-Minhàg). A questo scopo consulteremo brevemente alcune fonti rabbiniche della Provenza, terra d’origine del Minhàg in questione.
Nella Ghemarà Berakhot 38b si discute sulla Berakhah da recitarsi sulle verdure. I Chakhamim pervengono alla decisione che la Berakhah specifica Borè Perì ha-Adamah (“Creatore del Frutto della Terra”) si recita solo se si mangia la verdura preparata nel modo solito: la verdura che abitualmente si mangia cruda richiede invece la formula più generica She-ha-Kol se la si mangia cotta e viceversa la verdura che abitualmente si mangia cotta richiede She-ha-Kol se mangiata cruda. Le Tossafòt spiegano che a seconda delle specie ogni verdura può migliorare o peggiorare attraverso la cottura. Se invece la verdura viene comunemente mangiata in un modo o nell’altro mantiene sempre la sua Berakhah specifica.
R. Menachem ha-Meirì, il grande Talmudista provenzale del XIV secolo, nel suo commento porta esempi per ciascuna delle tre categorie. Verdure che si mangiano solitamente cotte anziché crude –scrive, riportando su questo punto la Ghemarà stessa- sono le bietole (silqà in aramaico) e la zucca (qarà); verdure che si mangiano solitamente crude piuttosto che cotte sono i cocomeri (qishuim) e l’anguria (avatìach, considerata “frutto della terra” per via della sua Berakhah, Borè Perì ha-Adamah) e infine le verdure che si mangiano indistintamente crude o cotte sono l’aglio (tumè) e il porro (kartè).
Escludendo da questa analisi gli assaggi di “frutti dell’albero”, notiamo che il Seder Rosh ha-Shanah universalmente condiviso (e basato su altri due passi della Ghemarà: Horayòt 12a e Keritòt 6a) comprende come “frutti della terra” proprio le bietole e la zucca, con l’aggiunta dei fagioli (rubyà secondo il Meirì, per altri il finocchio), ovvero quelle verdure che si mangiano abitualmente cotte anziché crude; inoltre si assaggia il porro, dal Meirì considerata verdura dall’uso indistinto. Manca invece completamente una rappresentanza di quei “frutti della terra” che si mangiano preferibilmente crudi.
I “frutti della terra” ricordano, ancor meglio dei “frutti dell’albero”, la fatica della coltivazione e della crescita. Rispetto ai “frutti dell’albero”, che pure sono rappresentati anch’essi sulla tavola del Seder Rosh ha-Shanah in abbondanza (datteri, fichi, mele, melagrane), in quelli “della terra” è maggiormente sottolineato il passaggio da un anno all’altro: mentre nei primi il ricambio riguarda soltanto il frutto, nei “frutti della terra” esso coinvolge l’intera pianta (Berakhot 40). L’uscita della pianta dalla terra è una redenzione in se stessa, parallela a quella del nostro popolo che si rinnova da un anno all’altro. Ci sono a questo punto processi diversi di redenzione e riscatto.
La cottura a sua volta evoca diversi simboli nel pensiero ebraico. L’uso del fuoco che essa comporta può rappresentare una purificazione della natura originaria del prodotto attraverso un mezzo forse necessario e persino benefico, ma violento. Le verdure cotte nel Seder ci richiamano tutte quelle vicende della nostra Storia in cui noi stessi abbiamo dovuto sopportare difficoltà e violenze per riscattarci. Non è un caso che la formula augurale che accompagna l’assaggio di tutte le verdure cotte è espressa in forma negativa: che possiamo vedere l’annientamento dei nostri nemici. Ma non è immaginabile che la sera di Rosh ha-Shanah si debbano evocare solo pensieri di questo tipo.
Ecco che i Chakhmè Provèntz hanno voluto pareggiare i conti. Anzitutto hanno aggiunto al porro un’altra verdura neutra: escludendo per motivi di gusto l’aglio menzionato nel Talmud, hanno adottato la cipolla, che molto ha in comune con questi due. E soprattutto hanno introdotto l’ assaggio di un “frutto della terra” crudo: l’anguria. Per augurarci di non dover subire cotture, affinché il nostro rinnovamento possa attuarsi con dolcezza, senza passaggi bruschi e violenti. Sono gli stessi Chakhamim di Provenza che usano mangiare il polmone la sera di Rosh ha-Shanah, perché il polmone è per sua natura leggero, accompagnandolo con la triplice formula: she-nihyeh qallim la’assot retzon Avinu she-ba-Shamayim we-yaqèl me-‘alenu ‘ol ha-galùt we-yihyù mezonotenu be-qallut we-lo be-dochaq (1. “che siamo lesti a compiere il Tuo volere”; 2. “che alleggerisci su di noi il giogo dell’Esilio”; 3. “che sia il nostro nutrimento procurato con facilità e non fra gli stenti”). Assimilazione, antisemitismo e arretramento economico costituiscono le AAA prioritarie: i nostri tre principali fattori di preoccupazione per scongiurare i quali preghiamo in vista del nuovo anno.
Insegnano i nostri Maestri che kol ha-mevarèkh mitbarèkh, “chiunque benedice viene benedetto”. La reciprocità è legata al fatto che il valore numerico del verbo barèkh è 222, simbolo della dualità. Moltiplicando a sua volta barèkh per due otteniamo 444, che è la Ghematriyà di Miqdash, “Santuario”. Possa H. ascoltare le Berakhot che recitiamo sulla frutta questa sera e tutte le nostre Tefillòt e iscriverci nel Sefer ha-Chayim insieme ai nostri fratelli nella Terra dei Padri. Amèn, ken yehì ratzòn.