Torino, 19 Adar I 5782 (20.2.2022)
La recente emergenza sanitaria ha coinvolto in molti contesti i bambini in modo considerevole. Sebbene fortunatamente siano stati risparmiati nella stragrande maggioranza dei casi dai problemi di salute, è indubbio che a vari livelli siano risultati fra i più penalizzati in assoluto. C’è il timore fondato che alcune conseguenze del periodo eccezionale che stiamo vivendo si faranno sentire pesantemente in futuro.
Un po’ in tutto il mondo nei primi mesi della pandemia e nei momenti di maggiore pressione sulle strutture sanitarie, le sinagoghe hanno elaborato dei regolamenti volti a limitare la circolazione del virus, e oltre agli anziani i più colpiti, per differenti motivi sono stati i bambini, ai quali spesso per mesi non è stato consentito di frequentare la sinagoga. È assolutamente evidente che queste misure fossero determinate dalla situazione eccezionale che stavamo vivendo, ma è possibile che si sia verificata una implementazione di processi già in atto, circa l’allontanamento dei ragazzi dalla vita comunitaria in generale, e più nello specifico dalla tefillah, e per questo credo sia importante affrontare questo discorso, decisamente urgente in quelle comunità che stanno soffrendo molto a livello di presenze nelle sinagoghe per via di un’età media sempre crescente dei frequentatori. Senza un adeguato ricambio, e senza un lavoro in questo senso, alcune realtà rischiano di dovere affrontare nel prossimo futuro un doloroso risveglio. Qui a Torino già oggi nei giorni feriali, ma anche in un futuro non troppo lontano di Shabbat e Yom tov, il reperimento del minyian è molto difficoltoso. Ciò impone una riflessione molto seria sul tema dell’educazione alla tefillah.
A Torino per esempio, per via della natura molto particolare della sua scuola, il tema della tefillah, sia riguardo il suo insegnamento, sia riguardo il suo svolgimento in contesto scolastico, ha avuto varie modulazioni nel tempo. È di cruciale importanza che i bambini vengano educati alla tefillah, se non altro perché la tefillah, assieme alle berakhot del pasto, è il contesto di applicazione più frequente delle mitzwot. Sin dalla più tenera età può essere utile insegnare a memoria alcune parti semplici della tefillah, evitando di sottovalutare le capacità di imparare dei bambini, che spesso vanno oltre la nostra immaginazione. Ogni genitore ebreo è diviso fra l’incoraggiamento troppo spinto alla vita religiosa e all’eccessivo lassismo. Spesso ci preoccupiamo perché la nostra insistenza potrebbe allontanare i nostri figli dalla vita comunitaria. Dovremmo però fare attenzione, perché i nostri figli potrebbero avere l’impressione che siamo noi stessi a non dare importanza a ciò in cui crediamo (Davies 2017).
È necessario a tal fine adoperarsi su alcuni aspetti specifici:
a) istruire i ragazzi a leggere speditamente e correttamente l’ebraico, perché seguire la recitazione della tefillah dal siddur o la lettura di una parashah richiede una buona capacità di lettura. È importante che la scuola si adoperi per creare dei legami significativi con il bet ha-keneset, individuando delle occasioni speciali, in cui i bambini hanno un ruolo attivo (ad esempio per la lettura dei Pirqè Avot o per la recitazione di alcune parti della tefillah). Più in generale è necessario istruire i ragazzi sulla centralità della tefillah nel nostro modo di vivere, mostrando come il siddur e il chumash siano nostri compagni inseparabili, e rendendoli consapevoli della struttura dei testi, in modo da orientarsi nel corso della tefillah ed essere in grado di seguire.
b) abituare i ragazzi alla frequentazione del bet ha-keneset. È evidente come le famiglie abbiano un ruolo in ciò. In modo particolare il momento critico, che nella maggior parte dei casi segna un allontanamento pronunciato è quello del bar/bat mitzwah. Spesso dopo aver profuso un impegno significativo per un periodo prolungato i ragazzi, dopo la cerimonia del bar mitzwah, diradano la propria presenza, a volte sino ad annullarla completamente.
c) abituare gradualmente i bambini a stare nel bet ha-keneset. Anche qui è chiaro che i genitori debbano essere di esempio. Le persone mostrano di essere perfettamente in grado di rimanere sedute in silenzio, andando all’opera o al teatro, mentre, pur sapendo quanto certi comportamenti siano inappropriati, non fanno altrettanto quando si trovano “di fronte al Re”. Lo Shelah, citato nella Mishnah Beruraj su Orach Chayim 98, ritiene che i bambini, crescendo, manterranno i comportamenti errati nel bet ha-keneset che avranno acquisito nell’infanzia. Circa l’inizio della frequentazione del bet ha-keneset, i poseqim concordano nel dire che non è di alcuna utilità portare al bet ha-keneset dei bambini eccessivamente piccoli, ma altresì che a un certo punto del processo educativo è necessario essere costanti, per fare in modo che le abitudini si radichino e che, come dice il Mishlè (Pv 22, 6) “anche quando sarà vecchio non si allontanerà da quella”.
d) fare in modo che gradualmente i bambini abbiano kavvanah, concentrazione e corretta intenzione, nella tefillah. In generale non è bene incoraggiare un’applicazione meccanica delle mitzwot, ma è necessario, anche senza soffermarsi su ogni particolare, trasmettere il significato generale di quello che si sta facendo. È opportuno che nel contesto educativo vengano dedicati dei momenti specifici allo studio della tefillah. Nel contesto scolastico dell’ebraismo italiano come è noto coesistono realtà molto differenti fra di loro, ma nei contesti più grandi sarebbe senz’altro consigliabile prevedere un ambito di studio del genere, senza appoggiarsi al mito del “lo sanno tutti”, che molto spesso non corrisponde alla realtà, anche in contesti che non ci immagineremmo. Gli approcci che si possono mettere in campo sono molteplici, da quello storico-letterario a quello mistico; in generale è importante mostrare ai bambini e ai ragazzi la struttura della tefillah, la funzione e il senso di ciascun passo (Steinsaltz 1982). Rav Steinsaltz dal canto suo non ritiene che l’aspetto fondamentale nello studio della tefillah sia determinato dall’ inquadramento storico o linguistico dei passi, ma che sia racchiuso nelle parole Barukh Attah che troviamo in qualsiasi benedizione, nella relazione che costruiamo con D. nella tefillah, e prima di tutto nel fatto che quando preghiamo parliamo a D., trovandoci di fronte a Lui. Questa affermazione del “Tu” non vuole essere un saggio di filosofia buberiana, ma un problema comprensibile per qualsiasi bambino (Steinsaltz 1982).
e) rispetto alle richieste comportamentali minime all’interno della Sinagoga, i Maestri hanno compreso che ciò che dovrebbe dipendere dal buonsenso e dalle buone maniere dovesse essere compreso in un quadro giuridico È difficile raggiungere la piena concentrazione, e per questo hanno insistito molto sulla necessità di creare più possibile un clima di immersione assoluta (Greene 1999).
f) anche se i genitori spesso non si dicono d’accordo con questa affermazione, i bambini sono fortemente influenzati dai loro comportamenti. Se un genitore prenderà sul serio la tefillà, è probabile che i figli lo facciano a loro volta. All’interno della vita ebraica i vari ambiti, quello della preghiera, quello dello studio e quello della socializzazione, dovrebbero rimanere separati. Ad esempio ciascuno dovrebbe considerarsi il decimo nel minyian durante la ripetizione della ‘amidah, rispondendo amen a ciascuna berakhah dello shaliach tzibbur e concentrandosi su ciascuna delle parole pronunciate. Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 124,4) sottolinea che in assenza di un pubblico in ascolto il rischio è quello che la ripetizione non sia valida e le benedizioni siano state recitate invano. Ciò diviene ancora più grave quando, come spesso avviene, assistono alla tefillah dei non ebrei (‘Arukh ha-shulchan 124,12). Spesso si è portati a cercare una giustificazione affermando che ci si comporta in un certo modo perché ci si vuole sentire “a casa” o “a proprio agio”, ma ciò sovente è in netto contrasto con il timore e la riverenza che il bet ha-keneset dovrebbe ispirare (Greene 1999).
In generale i chakhamim hanno ritenuto opportuno introdurre i bambini a determinati riti. Ad esempio buona parte del Seder di Pesach è indirizzato ai bambini. Il Ramà (Orach Chayim 149,1) cita l’Or Zarua’, secondo il quale c’è la consuetudine di portare i bambini al bet ha-keneset per baciare la Torà, come strumento per impegnarli all’amore della Torà e delle mitzwot. In questo senso è importante notare come non sia corretto sottoporre il bambino a sollecitazioni eccessive, chiedendogli di rimanere in silenzio per un periodo troppo prolungato, rischiando di essere ripreso dal genitore o persino dai frequentatori per la sua comprensibile incapacità di mantenere la concentrazione tanto a lungo.
Parafrasando un detto rabbinico, è possibile affermare che tre partner influenzano lo sviluppo religioso dei nostri figli: i genitori, i rabbini, e gli insegnanti. Se queste tre entità si trovano indirizzate sulla stessa strada, allora (Eccl 4,12): “la corda a tre capi non si rompe tanto presto”. Il loro compito educativo si muove lungo diverse coordinate, quella tecnica della trasmissione delle competenze e delle nozioni necessarie per la recitazione della tefillah e quella emozionale legata allo stimolo che fa insorgere la volontà di recitare la tefillah.
Riferimenti bibliografici
Davis, Ariela, 2017. Should I Push My Kids to Daven? www.ou.org/life/parenting/push-kids-daven/
Greene, Wallace, 1999. “In the king’s presence” Teaching for tefillah: a Communal Responsibility. Ten Da’at, A Journal of Jewish Education XII. daat.ac.il/ daat/english/ten-daat/greene-1.htm Steinsaltz, Adin, 1982. Hachinukh latefillà www.steinsaltz-center.org.il/document/69733,7498,89.aspx