MOSAICO MILANO
Sofia Tranchina
Quest’anno, con l’arrivo di Rosh Hashana (la sera del 6 di settembre) e l’inizio dell’anno 5782, inizierà la Shemità, ovvero l’Anno Sabbatico durante il quale ci è stato comandato di lasciar riposare la terra (dalla radice shamot, abbandonare per lasciare, restare incolto). Durante questo anno, il contadino non può seminare, piantare, tagliare né mietere nelle proprie coltivazioni. Tuttavia, sono permesse le cure necessarie ad impedire la morte delle piante. Tra i compiti permessi ci sono quelli di controllo dei parassiti e delle malattie delle piante, di irrigazione delle piante nelle zone in cui l’aridità ne causerebbe la morte, e di trapianto delle piante laddove queste devono essere abbattute per la costruzione di edifici…
«Parla al popolo israelita e digli:
Quando entrerai nella terra che ti assegno, la terra osserverà il Sabato del Signore.
Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni potrai potare la tua vigna e raccoglierne i frutti.
Ma nel settimo anno la terra avrà un Sabato di riposo assoluto, un Sabato del Signore: non seminerai il tuo campo né poterai la tua vigna.
Non mieterai gli ultimi frutti della tua messe, né coglierai l’uva delle tue vigne non potate; sarà un anno di completo riposo per la terra.
Ma potrai mangiare tutto ciò che la terra produrrà durante il suo Sabato: tu, i tuoi schiavi e le tue schiave, i salariati e i lavoratori vincolati che abitano con te, e il tuo bestiame e le bestie nella tua terra ne potranno mangiare tutti i prodotti”»
(Levitico, 25:2-7)
Risvolti ecologici
Una società che rispetti il precetto del riposo della terra potrebbe animare una conversazione sulla sostenibilità ambientale e sul cambiamento del mondo, oltre ad aumentare la consapevolezza del rapporto tra uomo e terra, cibo e tempo.
Come descritto dai movimenti ambientalisti ebraici jewcology e Hazon, la Shemità corrisponde alle moderne idee ecologiche su come dovremmo vivere.
Innanzitutto, è risaputo che la terra ha bisogno di periodi in cui viene lasciata incolta per rigenerarsi. Tuttavia, laddove per secoli è stata utilizzata in tutto il mondo la rotazione delle colture, oggi – grazie all’utilizzo di fertilizzanti – si è passati alla monocoltura e poi all’agricoltura intensiva, che permette di stare al passo con l’ideale capitalistico di sfruttare la terra senza tregua e ottenerne sempre qualcosa.
La Rivoluzione Verde del XX secolo ha impiegato cereali ad alto rendimento e fertilizzanti chimici per nutrire un pianeta sovrappopolato ma privato delle diete tradizionali, più salutari.
Tuttavia, come è stato esposto anche durante l’Expo di Milano del 2015 nella conferenza Etica Ambientale Ebraica – la Shemità, i fertilizzanti usati sono nocivi alla terra, rendendola via via dura come il cemento, e nocivi all’ambiente.
La continua crescita delle colture sullo stesso pezzo di terra impoverisce il suolo di sostanze nutritive, portando a scarso drenaggio e bassa produttività.
Al contrario, quando il campo viene lasciato senza semi per un anno, ritornano i lombrichi, che arricchiscono e aerano il terreno. Il materiale organico rivitalizza appunto la salute microbica naturale dell’humus, ripristinando i livelli di azoto e fosforo, e interrompendo i cicli di malattie delle colture.
Da uno stato di esaurimento, il suolo ha bisogno di tempo per ricostruirsi.
Oggi, il movimento globale per l’agro-ecologia (agricoltura sostenibile) tenta di reintrodurre la rotazione o la Shemità per fare a meno dei fertilizzanti di sintesi: non solo maggese arricchisce naturalmente il terreno, ma anche, se si permette agli animali di andare nei campi a pascolare, la terrà otterrà ulteriori nutrimenti dal loro letame.
Un articolo del sito americano thisismold.com, che si interroga sul futuro del cibo, elenca i vantaggi che avrebbe la dieta americana dall’introduzione della pratica dell’anno sabbatico: «il futuro si nasconde nel passato, e un adagio musicale antico quanto la Shemità potrebbe riportarci sia il piatto più delizioso sia il campo più fertile».
Si tratta dunque un comandamento religioso ecologico, per preservare la terra e risolvere la crisi ambientale, che potrebbe giocare un ruolo nell’inversione del cambiamento climatico.
Giustizia sociale
Cosa succede alla frutta, la verdura e alle altre piante che crescono spontaneamente durante la Shemità? Un principio fondamentale della Shemità è proprio che, lasciando riposare i campi, si può permettere agli affamati di mangiare ciò che la terra continua a produrre. Seguendo i valori di giustizia sociale, durante l’anno sabbatico – per chi lo rispetta – viene annullata tutta la proprietà privata dei campi in terra d’Israele. I raccolti diventano così liberi, disponibili all’usufrutto gratuito di chiunque ne abbia bisogno: non solo gli animali, ma anche i poveri possono andare ai campi e servirsi. Ovviamente, anche il contadino, come tutti gli altri, può mangiare il prodotto del campo, ma non può appropriarsi del raccolto intero in quanto non ne è il proprietario. Ciò contribuisce alla soluzione della povertà.
Il rabbino Victor Urecki spiega: «non dobbiamo mai dimenticare com’è essere affamati in questo mondo. Per noi che viviamo nel comfort dei nostri campi di abbondanza, ogni nostro pensiero di veglia dovrebbe essere quello di alleviare la sofferenza di coloro di cui ogni pensiero di veglia è fame. Quando permetti alle persone di mangiare dai tuoi campi, hai ricordato a te stesso che ciò che hai sono solo doni dall’Alto e un’opportunità per aiutare il tuo prossimo».
Aiutare economicamente i contadini a rispettare la Shemità
Nel tempo che gli avanza dalle mansioni permesse, il contadino può riposare e riflettere su aggiustamenti agricoli ed economici per garantire il mantenimento di una società equa, giusta e sana. Inoltre, si deve dedicare a un rinnovamento spirituale, alla Torà e alla preghiera.
Tuttavia, come si può ben immaginare, non poter lavorare la propria terra – per un contadino il cui sostentamento proviene principalmente proprio dal lavoro della terra – è un grandissimo atto di fede: la Torà chiede all’ebreo di affidarsi completamente ad Hashem e al suo aiuto, anche laddove questo debba essere soprannaturale.
«E se tu chiedessi: “Che cosa mangeremo nel settimo anno, se non seminiamo né raccogliamo dei nostri raccolti?”
Io farò per voi la mia benedizione nel sesto anno, affinché produca un raccolto sufficiente per tre anni.
Quando seminerai nell’ottavo anno, mangerai ancora il grano del vecchio raccolto; mangerai da quel raccolto fino al nono anno, finché non darà i suoi prodotti».
(Levitico, 25:20-22)
Il contadino ebreo deve interiorizzare la consapevolezza che il suo sostentamento non dipende solo dai suoi sforzi, in quanto siamo tutti nelle mani di Hashem che provvede all’uomo e non è sottomesso ai limiti della natura.
Per aiutare i contadini ad affrontare le difficoltà economiche in cui inevitabilmente incorrono durante l’anno sabbatico della terra, tutti possono contribuire alla realizzazione della Shemità. A tal scopo diverse associazioni hanno aperto delle raccolte fondi: Agudas Shmita, Keren Hashviis, e Otzar Haaretz.
Come realizzare la Shemità in tempi moderni
Tutto interessante, ma come si può realmente realizzare ad oggi?
Sin dal ritorno degli ebrei in Eretz Israel, le autorità rabbiniche hanno cercato di risolvere le controversie relative alla Shemità con qualche istruzione pratica e qualche “trucco”. Il più interessante e più utilizzato metodo è l’agricoltura idroponica, in serre strutturate in modo che le piante non siano connesse al suolo: la terra è sostituita da un substrato inerte di argilla, fibra di cocco, o lana di roccia, e la pianta viene irrigata con una soluzione nutritiva di acqua e composti minerali. Questo tipo di coltura offre un ampio vantaggio: la produzione è più controllata tutto l’anno sia dal punto di vista qualitativo – in quanto il prodotto conserva in tutta la produzione uniformità di dimensione e costanti caratteristiche organolettiche – sia da quello igienico-sanitario.
Anche sotto il profilo ambientale è vantaggioso: infatti non è necessario l’uso di diserbanti e antiparassitari, e i fertilizzanti in questo caso (che possono essere biologici) vengono utilizzati in modo mirato e non si disperdono nel terreno.
Inoltre, per ottenere il medesimo risultato viene utilizzata meno di un decimo dell’acqua necessaria per la normale coltura in terra, il che la rende utile specialmente nei territori aridi. L’idroponica è quindi in forte crescita presso le comunità agricole haredi.
Altra possibilità è l’Otzar Beit Din, “tesoro del tribunale rabbinico”: quest’ultimo, durante il sesto anno, ingaggia mano d’opera per la mietitura e sovrintende il raccolto, per conservarlo poi in magazzini comunali e redistribuirlo alla comunità durante l’anno sabbatico.
Un’altra soluzione è di produrre e coltivare nell’Arava, regione a sud di Israele che è al di fuori dei confini biblici di Eretz Israel e dove quindi non si applica la legge della Shemità.
La Heter Mechirah (permesso di vendita), invece, consente ai contadini ebrei di vendere il terreno più superficiale ai non ebrei, in modo da poter continuare a coltivare. Al termine dell’anno la terra ritorna all’ebreo. È una soluzione temporanea all’impoverimento delle comunità ebraiche contadine, ma non viene accettata da tutti.
Infine, alcune organizzazioni (come la Eida Chareidis) comprano i prodotti da non ebrei, ad esempio contraendo accordi con l’Autorità Palestinese per ricevere i prodotti da Gaza.
Nel 2008, la Knesset ha approvato una legge sull’anno sabbatico, in base alla quale un Comitato Nazionale sottoporrebbe le questioni relative al comandamento dell’anno sabbatico al Gran Rabbinato di Israele.
Differenze tra Shabbat e Shemità
Nella Torà vengono elencati tre tipi di di Shabbat: il primo è il settimo giorno della settimana, Shabbat Shabbaton l’Adonai (ovvero “per il signore”); il secondo è Yom Kippur, Shabbat Shabbaton lakhem (“per tutti voi”); e il terzo è l’anno sabbatico Shemità, Shabbat Shabbaton la’aretz (uno shabbat “per la terra”).
Durante il settimo giorno della settimana, l’ebreo si stacca del tutto dalle occupazioni mondane, dedicandosi completamente allo spirito; durante l’anno sabbatico, invece, egli si occupa di tutte le faccende mondane e quotidiane, affrontando la sfida di introdurre proprio nella sua quotidianità la fede in Hashem, che trascende la natura. Così, laddove di sabato celebriamo Hashem come creatore della terra, durante la Shemità lo celebriamo come padrone della terra.
Le maledizioni
La terra d’Israele viene concessa agli ebrei solo a patto che questi ne rispettino il riposo sabbatico, in quanto la terra è proprietà di Hashem. L’osservazione della Shemità dovrebbe restaurare l’Eden infondendo la shekinah nella terra stessa e riparando ai danni che hanno portato al diluvio universale.
Al contrario, ignorare il precetto porterebbe a eventi nefasti. È detto che chi decidesse di sfruttare la benedizione del sesto anno ottenendo così un raccolto che valga per tre anni, e scegliesse poi di non osservare la Shemità il settimo anno, vedrà deperire tutti i prodotti della propria terra.
Inoltre, come è spiegato nel Libri delle Cronache, se il popolo ebraico non rispetta la Shemità verrà esiliato, in modo che la terra riposi e venga compensata per tutti gli anni sabbatici di cui è stata privata. Così, i settanta anni durante i quali gli ebrei furono esuli a Babilonia corrispondono ai settanta anni di Shemità e di giubileo che essi avevano trascurato durante la loro permanenza di 430 anni in Eretz Israel.
Significato simbolico
Nel conteggio degli anni in gruppi di sette ritorna la ciclicità temporale caratteristica della vita ebraica.
Concludiamo dunque con le sagge parole di Rav Pierpaolo Pinhas Punturello: «contare significa dare un senso ad ogni attimo, ad ogni ora, ad ogni giorno. Contare significa comprendere il tempo che scorre, dare un senso al passato e nuove energie al futuro. Contare i giorni significa essere nel tempo e non subirlo, vivere il tempo e non sopravvivere ad esso. Contare e computare i giorni significa saper pregare e saper chiedere, saper parlare con Dio e saper parlare con sé stessi. Nel saper contare i giorni si nasconde la saggezza umana, la consapevolezza umana, la capacità umana di vivere al meglio il proprio tempo. Il cuore saggio conta, il cuore senza saggezza lascia che il conteggio passi al di là di esso».