Tratto da “Le basi dell’ebraismo” – Morashà, 2013
Il Kiddùsh è la santificazione della festa sul vino con cui si inizia il pasto festivo. Il Kiddùsh è costituito da un’introduzione sullo shabbàt tratta dalla Torà, seguita dalla berakhà sul vino e dalla berakhà sullo shabbàt.
Secondo un antico uso si fa il Kiddùsh anche al tempio, alla fine di ’Arvìt; secondo il Talmùd esso fu stabilito per i viandanti e i pellegrini che solevano alloggiare e consumare i pasti nei locali del tempio.
La cerimonia del Kiddùsh viene ripetuta anche nel primo pasto della mattina successiva, ma senza recitare la berakhà sullo shabbàt. Secondo le fonti rabbiniche l’uso deriva da una interpretazione estensiva della norma dei Dieci Comandamenti che riguarda lo shabbàt: «Ricorda il giorno dello shabbàt per santificarlo».
«Il vino rallegra il cuore dell’uomo» è scritto nei Tehillìm (104, 15); per questo motivo la santificazione del vino fu introdotta nelle case come simbolo di gioia e di allegria di shabbàt e in tutte le festività. Il Kiddùsh è quindi una dichiarazione particolare, un riconoscimento esplicito che si è tenuti a fare per ricordare la sacralità della giornata festiva. Ci sono due tipi di dichiarazione da fare in questo senso: una pubblica durante la tefillà festiva di ’Arvìt, nell’aggiunta speciale alla ’Amidà, e un’altra, a carattere domestico, prima della cena.
Il Kiddùsh della sera è la testimonianza che Dio ha creato il mondo; le testimonianze si danno sempre in piedi ed è per questo che si recita il Kiddùsh della sera in piedi. Il Kiddùsh dello shabbàt mattina invece è legato al pasto che si consumerà subito dopo ed è quindi usanza diffusa recitarlo seduti.
Norme sul Kiddùsh
Una volta iniziato lo shabbàt, non si può mangiare niente prima di recitare il Kiddùsh; ma chi ha già mangiato può comunque recitarlo.
Le donne hanno lo stesso obbligo degli uomini e possono con la loro recitazione farli uscire d’obbligo.
Perché altre persone possano uscire d’obbligo, il Kiddùsh deve essere fatto da una persona che sia già bar mitzvà e che abbia l’intenzione di far uscire d’obbligo anche gli altri commensali.
L’uso migliore è di usare il vino la sera e la mattina. In mancanza di vino si benedice la sera con due pani (sostituendo la berakhà del vino con quella del pane; in questo caso prima del Kiddùsh è necessario fare la netilàt yadàim) e al mattino con del liquore (invece della berakhà del vino si dirà sheakòl nihyià bidvarò).
Se il vino non è sufficiente per tutti e due i Kiddùshìm, va riservato per la sera.
Il bicchiere su cui si fa il Kiddùsh deve contenere almeno un revi’ìt (86 ml di vino) e deve essere integro, non deve cioè presentare scheggiature o altro.
Il Kiddùsh non è valido se chi lo recita, o al suo posto qualcuno dei commensali, non ha bevuto almeno una quantità di liquido pari a un sorso che riempia una guancia (kimlò lugmàv = 45 ml circa).
Il Kiddùsh che si recita al tempio non fa uscire d’obbligo chi l’ascolta, che deve quindi ripeterlo a casa.
Il Kiddùsh si può fare solo nel luogo dove si mangia; non è valido se non è accompagnato dalla consumazione successiva di un alimento che possa costituire un pasto (pane o farinacei, in quantità di almeno 28 g o vino nella misura di almeno un revi’ìt).
Dopo il Kiddùsh
Subito dopo il Kiddùsh ci si lavano le mani, versando l’acqua da un recipiente, e si pronuncia la berakhà ’al netilàt yadàyim. Poi si dice la berakhà sul pane, hamotzì. È vietato interrompere tra la netilà e la hamotzì con parole o azioni non legate all’azione che si sta compiendo.
La particolarità dello hamotzì di shabbàt consiste nel recitare la berakhà su due pani interi (chiamati comunemente lèchem mishnè), in ricordo della doppia quantità di manna che scendeva nel deserto ogni venerdì.
È uso inoltre mettere i pani su un vassoio e coprirli con una tovaglietta fino al momento della berakhà, per ricordare il miracolo della manna che scendeva protetta da uno strato di rugiada sopra ed uno sotto. Inoltre, in un pasto di giorno feriale si recita prima la berakhà sul pane e poi quella sul vino; di shabbàt e di mo’ed s’inverte l’ordine ma, per non “umiliare” le challòt, le si coprono fino al momento di mangiarle.
I pasti di shabbàt
Oltre alla se’udà – pasto – del venerdì sera, lo shabbàt è celebrato con il pranzo di shabbàt, nel quale si esegue nuovamente il Kiddùsh e la berakhà su due pani, e un terzo pasto – se’udà shelishìt. Secondo i Maestri è mitzvà consumare tre pasti di shabbàt, per onorarlo e differenziarlo dagli altri giorni in cui si consumano solo due pasti completi.