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La nostra Haggadà
€21,00
La Haggadà di Pèsach per bambini adottata dalle scuole ebraiche
2014 – Pagine 84
Informazioni aggiuntive
Autori Vari
Brossura morbida plastificata
210×297 mm
Testo ebraico e traduzione italiana a fronte
Descrizione
La Haggadà è il testo che guida la cerimonia chiamata Sèder di Pèsach, durante la quale le prime due sere della relativa festa, si racconta attorno al tavolo familiare della miracolosa uscita del popolo ebraico dall’Egitto ad opera dell’Eterno e degli episodi immediatamente successivi. Nel corso di questa cena vengono compiute, secondo un rituale prestabilito, delle piccole azioni che servono a suscitare la curiosità dei partecipanti più piccoli, in maniera che possano poi intervenire gli adulti con le loro spiegazioni. La Haggadà è infatti da secoli uno degli strumenti più efficaci nella trasmissione identitaria, perché riesce a legare esperienze diverse tra loro, creando un ponte generazionale.
Quest’edizione è stata pazientemente elaborata da insegnanti delle scuole ebraiche in Italia e corredata da piccole schede didattiche di approndimento e superbamente illustrata da Mario Camerini
Illustrata, commentata e spiegata
In appendice: halakhòt del sèder e approfondimenti sulla Haggadà
Per bambini
Una Haggadà per bambini
Rav Alfonso Arbib – Rabbino Capo di Milano
La pubblicazione di una Haggadà pensata per i bambini rispecchia il vero spirito sia del sèder sia della Haggadà di Pèsach. Molte “stranezze” del sèder di Pèsach hanno l’unico scopo di provocare la curiosità dei bambini e tutta la Haggadà non è altro che una risposta alle domande dei bambini.
Il Talmùd stabilisce il principio secondo cui la Haggadà debba essere una lezione individualizzata ai vari tipi di figli: lefì da’atò shel ben, avìv melammedò – secondo il grado di conoscenza del figlio, il padre insegna.
Ogni figlio è diverso e l’educazione che non tenga conto di queste diversità è destinata al fallimento. Su questo principio è basato uno dei brani più famosi della Haggadà, quello dei quattro figli. Rav Shlomo Aviner nota una stranezza nel modo in cui nella Torà, a differenza della Haggadà, sono riportate le domande e le risposte dei figli. Nota cioè che la risposta che viene data al figlio che non sa porre domande è la stessa che viene data al figlio malvagio. Come mai? Rav Aviner rileva che in realtà il figlio che non sa porre domande non esiste. Ogni bambino pone domande, le domande possono essere complesse, difficili o semplici e ingenue, ma non esistono bambini che non chiedono “perché”. Quand’è che un bambino non pone domande? Quando non è incuriosito, è indifferente. Se questo succede siamo davanti al rischio di un fallimento educativo. Come si deve reagire? La Haggadà dice at pètach lo – tu apri a lui: stimola, provoca la domanda. A un bambino che non sa domandare, che non è interessato o incuriosito, non dobbiamo dare una risposta senza domande. Una risposta di questo tipo rischia di cadere nel vuoto e di essere perfettamente inutile, dobbiamo invece aprire la porta, stimolare la sua curiosità e il suo interesse, provocare la domanda.
Questo principio educativo stabilito dalla Haggadà è estremamente importante e vale per tutti, bambini e adulti. C’è un verso del Mishlè (22, 6) considerato la base dell’educazione ebraica: chanòkh lannà’ar al pi darkò, gam ki yazkìn lo yasùr mimmèna – educa il ragazzo secondo la sua strada; anche quando crescerà non si allontanerà da essa.
Rav Yitzchàk Hutner, commentando questo verso, afferma che il verso non vuol dire che se troviamo la strada giusta per educare il ragazzo egli non si allontanerà dalla strada che gli abbiamo indicato per tutta la vita, ma che non si allontanerà dalla strada dell’educazione, dell’auto-educazione. Soltanto se riusciamo a trasmettere ai nostri figli, ai nostri allievi l’idea e la convinzione che l’educazione è un processo permanente possiamo dire di aver raggiunto l’obiettivo.
Vorrei concludere citando un brano apparentemente poco significativo della Haggadà. In questo brano ci si chiede da quando si possa adempiere al precetto «E lo racconterai ai tuoi figli», ipotizzando che si possa cominciare questo racconto già da Rosh Chòdesh, ma la conclusione della Haggadà è che si possa cominciare il racconto solo nel momento in cui matzà e maròr “sono davanti a te”. Questo brano contiene un insegnamento fondamentale. Un narrazione che si limita alle parole, non è ebraicamente significativa, il racconto deve essere strettamente legato all’osservanza delle mitzvòt specifiche della festa. In un passo dei Pirkè Avòt (4, 5) si insegna qual è la modalità di trasmissione dell’identità ebraica. Per educare i propri figli e i propri allievi è necessario «studiare e insegnare, osservare e fare». Solo in questo modo l’insegnamento non rimane solo a livello teorico ma coinvolge l’intera personalità trasmettendo l’identità e un modo di vivere.
Preparata dalle moròt
Una Haggadà preparata dalle moròt
Gaia Piperno Besso
Questa Haggadà nasce con l’intento di fornire ai nostri allievi un testo chiaro, adatto al lavoro didattico che precede la festa di Pèsach, che possa diventare anche la loro Haggadà una volta adulti, senza considerarla solo un testo scolastico.
In tutte le scuole ebraiche, questo periodo è dedicato alla trasmissione della storia e dei valori della Festa delle Matzòt. Nella nostra scuola, dalla seconda elementare, ogni bambino riceve la propria Haggadà, sulla quale continua a studiare ogni anno, imparando progressivamente nuove parti, fino ad arrivare alla lettura di tutta la Haggadà nelle ultime classi. Questo approccio ha consentito, nel corso delle generazioni, di divulgare il testo della Haggadà e, attraverso i sèdarim didattici, di riportare la consuetudine del sèder anche in famiglie nelle quali si era perso tale rito.
Con le colleghe della scuola ci siamo accorte della necessità di un testo nuovo, con i caratteri adatti ai bambini delle prime classi, che al contempo non stancassero i più grandi. Volevamo delle illustrazioni che accompagnassero i bambini nel loro percorso scolastico e anche oltre, con disegni semplici, chiari ed esplicativi, che incuriosissero attraverso i riferimenti ai racconti del Midràsh. Ci serviva una traduzione accessibile e dei commenti utili alla comprensione del testo. Così è nata La nostra Haggadà, grazie ai preziosi consigli di tutte le moròt della nostra scuola.
Un ringraziamento speciale va prima di tutto ai nostri allievi, attenti correttori dell’edizione sperimentale; alla morà Anna Arbib Colombo, per gli indispensabili commenti; a Rav Roberto Colombo, per gli importanti approfondimenti e alle halakhòt in appendice; alla morà Diana Segre, per aver seguito tutta la progettazione della Haggadà e per la revisione dei testi in italiano; alla morà Claudia Bagnarelli e alla morà Mirella Camerino, per il sostegno all’iniziativa; a Jacov Di Segni per i suoi precisi appunti al testo ebraico; a Mario Camerini, per le belle illustrazioni e per la disponibilità a tutti i cambiamenti richiesti durante la lavorazione; a David Piazza per la sua visione grafica che ha cercato di coniugare aspetto e contenuti; alla casa editrice Morashà, senza le cui risorse tutto ciò non sarebbe stato possibile e, soprattutto, a «Colui che fece a noi e ai nostri padri tutti questi segni, prodigi e miracoli».
Milano, Motzè shabbàt Hachòdesh, 5770
Per costruire il futuro
La Haggadà per costruire il futuro
Anna Arbib
«Il faraone disse: Andate pure a prestare culto all’Eterno Dio vostro; ma chi sono quelli che andranno? Moshè rispose: Insieme ai nostri giovani e ai nostri anziani andremo» (Shemòt 10, 8-9). Quando studiamo la storia di Pèsach, i nostri alunni si stupiscono di quanto il faraone sia ostinato nel suo rifiuto di liberare il popolo ebraico. Ma egli si rifiuta di obbedire all’ordine divino perché la sua cultura si basava sull’idolatria e sulla schiavitù, sul culto dell’uomo e sull’oppressione. Quando, infine, accetta di far uscire il popolo, rifiuta di liberare i ragazzi e i bambini con gli anziani. Egli vuole che il culto ebraico sia relegato al passato, che non venga trasmesso di padre in figlio. Ma Moshè risponde: «Insieme ai nostri giovani e ai nostri anziani andremo». Moshè antepone i ragazzi agli adulti, mettendo in evidenza quanto l’educazione dei giovani sia prioritaria, poiché rappresenta il futuro del popolo. È nella famiglia che il figlio struttura la sua persona e apprende i fondamentali modelli comportamentali, valoriali, relazionali e spirituali che tenderà a riprodurre negli anni futuri. Solo se la famiglia vive intensamente l’ebraismo, il messaggio educativo può passare ai figli. La sera del sèder è l’occasione per unire genitori e figli e costruire insieme il futuro. È una sera particolare: azioni, studio e canto si intrecciano. La memoria del passato diventa presente, attraverso atti che ci collegano alle immagini del mondo migliore che verrà. «Faremo e ascolteremo» dissero gli ebrei sotto il Monte Sinài, comprendendo un principio educativo fondamentale: non c’è educazione ai valori senza azione. Quando Dio, nei Dieci comandamenti, prescrive il precetto dello shabbàt, usa due verbi diversi, che però il popolo riesce a sentire, miracolosamente, come un’unica parola: Ricorda e osserva il giorno dello shabbàt. Ricordo e azione sono interconnessi: non c’è ricordo senza azione. La coerenza tra ciò che vogliamo trasmettere e le azioni che mettiamo in pratica è la base dell’educazione ebraica.
È scritto nella Haggadà: «Chiunque si dilunghi a narrare l’uscita degli ebrei dall’Egitto è degno di lode». Il precetto che osserviamo durante il sèder consiste nel narrare la storia dell’Esodo ai figli. In ebraico la radice del verbo narrare – lesappèr, è la stessa della parola libro – sèfer, e significa incidere. Il racconto è il mezzo per incidere sulla formazione dei figli. La narrazione, infatti, non coinvolge solo la mente, ma anche il cuore, i sentimenti e le emozioni. Solo se si insegna con il cuore, possiamo sperare di contribuire alla costruzione dell’identità ebraica delle nuove generazioni. Ma ciò che vogliamo insegnare deve essere anche “inciso” dentro di noi; per educare è necessario educarsi.
La scuola ha un ruolo fondamentale nell’educazione ebraica. La preparazione del sèder di Pèsach è un momento particolarmente significativo nella vita ebraica della nostra scuola. L’atmosfera che si crea è gioiosa e calorosa, grazie all’impegno profuso, che vede la collaborazione di tutti, adulti e bambini. La scuola diviene un ambiente educativo di apprendimento, che collabora con la famiglia, in un clima di unitarietà. Ci auguriamo che questa nuova Haggadà, preparata con grande entusiasmo, possa contribuire alla formazione ebraica dei nostri allievi.
Dedico il mio lavoro alla memoria di mio padre Iosef Arbib z.l., che amava intonare con gioia i canti del sèder e aver sempre intorno a sé la sua famiglia, trasmettendo il valore delle tradizioni e della fede nell’aiuto di Dio, in ogni momento della sua vita. Che il suo ricordo sia di benedizione.
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