Secondo la toràh, in ‘Eden, gli esseri umani potevano e dovevano mangiare da tutti gli alberi del giardino. Questa indicazione comportava alcune limitazioni: a) che Adam e Chavàh dovevano limitarsi ad una alimentazione esclusivamente vegetale, anche se nel midràsh (TB Sanh. 59b) è suggerita l’idea che gli angeli potessero portare loro dal cielo della carne; b) che Adam e Chavah non dovevano mangiare dell’albero del conoscere il bene ed il male; c) che il permesso di mangiare o meno dell’albero della vita era, in qualche modo, subordinato al rispetto, almeno per un certo periodo, delle precedenti due regole.
La situazione normativa alimentare di Adam e Chavàh sembra molto chiara e semplice. La ricerca midràshica, come al solito, considera la questione in una prospettiva più complessa e meno fiabesca:
1. Quale significato ha che la prima regola proposta agli esseri umani è una regola alimentare? Non è forse vero dal punto di vista esistenziale che il solo fatto di dover mangiare per poter sopravvivere è già una fortissima limitazione ad una ipotetica e desiderabile onnipotenza dell’uomo? e se Adam e Chavàh avessero deciso di praticare una dieta assoluta, avrebbero infranto il primo codice divino? da segnalare : lo stesso gioco linguistico tra la radice aKHL (= mangiare) e la radice IkhL (= potere) svela questa profonda ambiguità.
2. Quali regole disciplinavano la commestibilità per l’albero della vita? i suoi frutti potevano essere mangiati o no? in caso positivo: l’albero della vita esercitava la sua funzione soltanto perché Adam e Chavàh accettavano l’obbligo di mangiare dagli altri alberi ed il divieto di mangiare dall’albero del conoscere il bene ed il male? In caso negativo: l’albero della vita è l’unico vegetale che aveva una sua regola ma segreta e sconosciuta? In ogni caso sappiamo che l’accesso all’albero della vita diventa la causa definitiva per l’esilio di Adam e Chavàh da ‘Eden. Come mai, invece, la toràh non contempla l’ipotesi che l’albero della vita potesse venire trapiantato da qualche altra parte, per esempio in cielo?
3. E per quanto riguarda l’albero della conoscenza del bene e del male? Il midrash identifica questo albero come l’unico albero che, durante la creazione dei vegetali, non si era ribellato a D-o. Con più esattezza: tutti gli alberi avevano rifiutato di diventare totalmente commestibili (nel tronco oltre che nel frutto) mentre l’albero del conoscere aveva accettato questa Legge. Quale significato ha questo incredibile paradosso per cui l’unico albero proibito, per l’alimentazione umana, era l’unico albero ubbidiente e completamente commestibile?
Queste prime riflessioni ci definiscono una problematica esistenziale profonda.
Non ci sembra che l’obbligo di un’alimentazione vegetale scaturisca da una semplice utopia vegetariana, della toràh, e neppure che il divieto alimentare imposto da D-o sull’albero del bene e del male sia una banale ed invidiosa coartazione della conoscenza umana.
Ci sembrano più plausibili due altre ipotesi: A) le regole dell’alimentazione vegetariana vanno collegate con il fatto che gli alberi permessi dovevano essere riparati dalla loro incompleta commestibilità; B) il rifiuto di tutti gli alberi a diventare alberi- frutto costituisce, forse, la causa reale dell’apparente ribellione di Adam e Chavàh, i quali cercano appunto di mangiare dall’unico albero-frutto esistente.
Il problema è proprio questo: gli esseri umani debbono essere alberi che generano frutti oppure possono diventare alberi-frutto?
Cerchiamo di comprendere i collegamenti possibili tra la ribellione degli alberi ed il tentativo che Adam e Chavàh, forse, compiono per recuperare un rapporto con la creazione che sarebbe stato presente nel desiderio di D-o. Per individuare questi collegamenti è necessario valutare in profondità le nuove valenze che la nascita del mondo vegetale introduce nella realtà religiosa della creazione.
La creazione del mondo vegetale introduce, vitalmente, una serie di problemi sulla sostanza, sulle funzioni, sulle trasformazioni potenziali e sulle relazioni necessarie degli oggetti creati tra di loro.
Nei primi due giorni della creazione gli oggetti, i tempi e gli spazi vengono creati e definiti per semplice contrapposizione: luce contro buio; notte contro giorno; sera e mattina dentro un’unica giornata; acque superiori contro acque inferiori e cielo come lamina spartiacque che orienta il sopra ed il sotto.
Il terzo giorno inizia con la stessa logica della contrapposizione, ma inserisce subito una differenza sottile: le acque di sotto al cielo si raccolgono e si condensano in un loro spazio delimitato (TB Shabb.109a), per rendere visibile la terra prosciugata (iabbashàh): per la prima volta, diventa visibile un oggetto trasformato, grazie all’azione di un altro oggetto.
Il midrash (Ber. R 5:8 sul verso Ber. 1:10) coglie questo momento straordinario con una annotazione: “perchè la terra è stata chiamata erez? perché ha voluto (raztàh) fare il desiderio (razòn) di Colui che la ha acquisita”. Nel testo precedente (Ber 1:2) Rashì aveva tradotto con originalità “e la terra era tòhu wabòhu ” come “e la terra era desolata e confusa”. Il cambiamento radicale che avviene, dunque, con l’emergere della terra, nel terzo giorno è la nascita di una volontà positiva.
In questo contesto la creazione del mondo vegetale diventa problematica: a) i vegetali sono i primi oggetti creati che ricevono una capacità generativa, e cioè la possibilità di perpetuare l’atto della creazione e di produrre oggetti simili a se stessi; b) i vegetali sono i primi oggetti che ricevono una propria capacità trasformativa, poiché hanno un loro ciclo naturale dalla nascita alla crescita e dall’invecchiamento alla morte; c) i vegetali sono i primi oggetti creati che potranno essere usati come oggetti, perché potranno essere mangiati e perché potranno essere trasformati in altri oggetti (utensili, vestiti, case).
Il mondo vegetale porta nella creazione queste contraddizioni: 1) è vitale perché ha una propria vita e perché può dare vita; 2) ogni singolo vegetale può vivere tanto per se stesso quanto in funzione dei suoi semi o trapianti; 3) il mondo vegetale può morire e può essere ucciso; il mondo vegetale può essere, rimanere o diventare sterile e può dare persino nutrimento, copertura, contenimento e strumenti agli altri esseri viventi, che verranno creati dopo di esso.
La creazione del mondo vegetale è secondo il midràsh, drammatica, perché porta, in forma implicita, nella storia della natura tutti i drammi che saranno espliciti nella storia dell’umanità e, per la toràh, già nella storia di Adam e Chavàh.
I quesiti con cui il midrash affronta questa tematica sono i seguenti:
1) la terra ha ricevuto la mizvàh di produrre erbe, senza alcuna ulteriore specificazione; quale ragionamento ha fatto la terra (o la stessa erbaglia primordiale) per produrre specie di erbe differenziate per genere?
2) La terra ha ricevuto la mizvàh di generare alberi che producono frutti ognuno con il suo seme; con quale arbitrio la terra avrebbe limitato questa prescrizione di generosità infinita, producendo alberi sterili (o alberi i cui frutti non sono commestibili)?
3) La terra ha ricevuto la mizvàh di produrre alberi che fossero frutti; nel progetto divino i vegetali dovevano far coincidere l’esistenza dell’individuo con l’esistenza della specie e l’esistenza della capacità attiva di generare con l’esistenza della capacità passiva di essere consumati da/per Altri; con quale intenzione la terra ha infranto questa mizvàh? Possiamo cercare di completare la nostra analisi, esaminando con maggiore attenzione quello che il midràsh ci dice, con qualche sorpresa sull’albero della vita (Ber.R.15:6): “E’ stato insegnato: è l’albero che si estende sopra tutta la vita. R. Iehudàh figlio di R. Il’ài ha detto: l’albero della vita copre un percorso di cinquecento anni e tutte le acque della creazione si dividono sotto le sue radici. R. Iudàn a nome di R. Iehudàh figlio di R. Il’ài precisa: il concetto non è che soltanto la chioma dell’albero della vita copre questo perimetro, ma che persino il suo tronco ha questa altezza”. In altri termini: l’albero della vita copre sotto la sua chioma tutta la vita (il tempo vissuto) e tutti i viventi (le universalità e le individualità); l’albero della vita copre sotto la sua chioma tutto lo spazio del mondo; tutte le acque che nutrono la terra si separano sotto l’albero della vita; virtualmente l’albero della vita non lascia alcun spazio vuoto nell’intero universo.
Le possibilità di leggere questo midrash ci sembrano:
1) l’albero della vita è ingombrantissimo; ovunque si cammini (sulla terra, sotto la terra e sopra il cielo) ci si sbatte inevitabilmente contro; per conoscerlo interamente bisogna più o meno vivere i circa 500 anni che, assieme, hanno vissuto, Avrahàm, Izchàq e Ia’aqov.
2) L’albero della vita protegge con la sua ombra il mondo e lo nutre con la sua acqua; quando qualcuno crede di camminare per l’universo, in realtà sta camminando dentro l’albero della vita;
3) È vero che Adam e Chavàh sono stati cacciati dal giardino di ‘Eden perché non mangiassero il frutto dell’albero della vita; ma il Padreterno, per grandissima astuzia o per quella strana confusione tra Giustizia e Misericordia che i Maestri insistono ad attribuirGli, ha forse fatto loro uno scherzo: Adam e Chavàh sono stati messi dentro l’albero della vita.
Le domande che, tra le tante, ci restano, sono le seguenti:
A) come è possibile che avendo mangiato il frutto del conoscere il bene ed il male, Adam e Chavàh non si sono accorti che il Padreterno li aveva cacciati da ‘Eden per metterli dentro l’albero della vita?
B) Come si fa a riconoscere ed individuare la materia dell’albero della vita nello spazio dell’universo? E se questo fosse fatto di energia, a quale energia si dovrebbe pensare? E se le foglie dell’albero fossero azioni-emozioni?
C) L’albero della vita ha il tronco che ha lo stesso sapore dei suoi frutti? Ha obbedito alla specifica mizvàh, che D-o ha dato alla terra il terzo giorno della creazione di produrre alberi-frutto?
Marzo 1999 – Shalom