Davide Silvera
Questa storia si svolge nella Palestina degli anni 1911-1912, pochi anni prima della Prima Guerra Mondiale. La Palestina era allora parte dell’Impero Ottomano. Il conflitto tra arabi ed ebrei non era ancora iniziato, non c’era ancora stata la Dichiarazione Balfour del 1917, e tutto sembrava ancora possibile. Le élite arabe, a parere degli storici moderni, credevano alla collaborazione con gli ebrei sionisti, con i quali condividevano interessi socio-economici, per la creazione di una patria comune e moderna. Sempre stando agli storici, c’era una certa solidarietà anche tra la classe lavoratrice araba e quella ebraica, anche questa basata su interessi socio-economici. Come dicevamo, tutto era ancora possibile.
I protagonisti della nostra storia sono tre, intimamente legati uno all’altro, nonostante le evidenti diversità.
Il primo, Menashe Meirowitz, era un agronomo ebreo di origine russa che faceva parte del movimento sionista Bilu. Arrivato a Rishon Lezion nel 1883, era decisamente una mosca bianca tra i primi sionisti. Da un lato si opponeva in maniera decisa all’autorità dei funzionari del barone Rothschild in Palestina; ma dal’altra si rifiutò di prendere parte alla “rivolta” contro gli stessi funzionari, perché era convinto che senza l’aiuto economico del Barone Rothschild i coloni sionisti non sarebbero sopravvissuti. Poliglotta, parlava e scriveva alla perfezione non solo il russo e l’yiddish, ma anche il francese, l’inglese e l’ebraico. Una delle sue attività principali era quella di spedire innumerevoli petizioni e lettere di richieste, pretese e proteste con cui sommergeva sia i responsabili del Congresso Sionista che i diversi funzionari dell’amministrazione Ottomana in Palestina.
Il secondo era Issa Al Issa, un poeta e giornalista arabo cristiano nato a Giaffa. Nel 1911, assieme al cugino Yousef El Issa, aveva fondato, nella sua città natale, il quotidiano arabo Falastin. Divenuto in poco tempo il quotidiano più diffuso in lingua araba, Falastin era, come il suo direttore Al Issa, un feroce critico del sionismo, che considerava una minaccia per la popolazione araba della Palestina, e si opponeva tenacemente all’immigrazione ebraica nel paese. “I Sionisti – scrisse nelle sue memorie Al Issa – vedevano in me uno dei loro nemici più accaniti”. Per combattere la linea anti-sionista del giornale, “Provarono (ad usare contro di me) diverse tattiche, tra cui il denaro e la bellezza femminile. Ma tutti i loro tentativi furono vani.” Effettivamente i leader ebraici in Palestina non vedevano di buon occhio il quotidiano, considerato ostile, e fecero di tutto per farlo chiudere dalle autorità, prima ottomane e poi inglesi.
Il terzo protagonista di questa storia è Abu Ibrahim, un “fellah”, un contadino arabo. A partire dal 1911, per circa due anni, pubblica sul Falastin, degli articoli, sotto forma di lettere, nelle quali descrive in maniera appassionata la miserevole vita dei fellahin (plurale di fellah, nda) arabi in Palestina. Fellahin come lui. Nei suoi articoli, che erano in “apertura” di giornale, Abu Ibrahim affronta anche questioni socio-economiche attuali quali la Costituzione Ottomana del 1908, proclamata in seguito alla rivoluzione dei Giovani Turchi. La Costituzione permetteva a tutti i sudditi dell’Impero Ottomano, inclusa la Palestina, di pubblicare giornali, relativamente liberi, che potevano criticare il governo. “Quando fu proclamata la Costituzione – racconta Abu Ibrahim in una delle sue lettere – se ne cominciò a parlare come di una cosa miracolosa, e così iniziai a leggere i diversi giornali e a farmi domande”. Domande sulla misera condizione dei fellahin in Palestina, sul fatto che anche loro avevano dei diritti. Diritti che dovevano essere fatti valere rivolgendosi al governo centrale di Costantinopoli. Furono proprio queste domande a spingere Abu Ibrahim a mandare le sue lettere al Falastin.
Ma la presa di coscienza aveva il suo prezzo: “ Non sono più lo stesso Abu Ibrahim che soleva camminare per tre ore dal suo villaggio fino a Giaffa per vendere una cassa di pomodori.” si lamenta in una lettera spedita il 19 maggio 1912.
Dicevamo che i tre protagonisti sono intimamente legati uno con l’altro.
Al Issa e Abu Ibrahim si conoscevano per forza di cose. Per quanto riguarda Meirowitz e Abu Issa abbiamo delle testimonianze dirette e una supposizione.
Nel 1935, in un’intervista al quotidiano ebraico Doar Hayom, Meirowitz racconta di un suo incontro avvenuto nel 1911 con il direttore del Falastin, a Giaffa. Al Issa mi chiese di collaborare al giornale: “Ho sentito che scrivi in vari giornali e ti chiedo di scrivere anche sul mio giornale.” Alcuni anni dopo, nel 1941, Meirowitz racconta una versione diversa dello stesso incontro, dove Al Issa sarebbe addirittura arrivato a casa sua a Rishon Lezion, chiedendogli di scrivere sul Falastin.
Ma nonostante le sue due testimonianze, di articoli firmati da Meirowitz sul Falastin non c’è nemmeno l’ombra…
È probabile, comunque, che Al Issa e Meirowitz si conoscessero. C’è il caso che il loro primo incontro fosse stato tramite i circoli segreti della Massoneria locale. Yousef el Issa, il cugino di Issa Al Issa, e co-direttore del Falastin, era membro dal 1906di una delle logge massoniche, di cui facevano parte molti sionisti di Rishon Lezion, che ovviamente conoscevano bene Meirowitz.
Ma cosa legava Abu Ibrahim a Meirowitz?
La risposta è semplice. Abu Ibrahim e Menashe Meirowitz erano la stessa persona… Ovvero, Meirowitz aveva scritto gli articoli fingendosi e firmandosi il fellah Abu Ibrahim.
Il primo ad avere dubbi sul fatto che Abu Ibrahim fosse veramente un semplice fellah era stato Rashid Khalidi, uno dei principali storici palestinesi contemporanei. Khalidi, che vede in Issa Al Issa uno dei precursori del movimento nazionale palestinese, ha passato molte ore a leggere le pagine del Falastin , partendo dai primi anni della sua pubblicazione. Imbattendosi, quindi, anche nelle lettere del fellah Abu Ibrahim. Dopo averle lette Khalidi arriva alla conclusione che lo stile forbito degli articoli non si addice ad un fellah. Nella Palestina dell’ante prima Guerra mondiale, erano pochi gIi arabi che sapevano leggere e scrivere. E tanto meno i fellahin. Quindi dietro alle lettere di Abu Ibrahim doveva esserci, secondo Khalidi, probabilmente lo stesso Al Issa. Che aveva interesse a descrivere i fellahin in maniera positiva, vedendo in loro gli autentici rappresentanti degli arabi di Palestina. Più degli arabi delle città, che conducevano una vita più agiata e con meno sacrifici.
A svelare la vera identità di Abu Ibrahim furono infine i documenti personali dello stesso Meirowitz conservati nell’Archivio Sionista Centrale e Gerusalemme. Decine di cartelle che contengono le numerose petizioni e lettere spedite dall’agronomo in tutte le lingue che conosceva, e tutte le sue pubblicazioni sui diversi giornali, ritagliate e sistemate in ordine perfetto. Nella cartella A23/31 ci sono fogli a righe ingialliti. Il titolo in francese, lettre d’un fellahnon lascia dubbi. Meirowitz è l’autore dei misteriosi articoli sul Falastin. Anche se confrontando i testi in francese con le lettere pubblicate in arabo si scopre che una mano misteriosa non solo aveva tradotto i testi in arabo, ma li aveva anche redatti e corretti. Così, per esempio, le parolacce in arabo parlato che Meirowitz aveva scritto trascrivendole in francese scomparvero del tutto negli articoli pubblicati, sostituite da eleganti espressioni in arabo letterario.
Dicevamo che stando a Meirowitz, Al Issa e lui si conoscevano. Anche se ciò non appare nelle memorie scritte da Al Issa prima di morire nel 1950 nel suo esilio di Beirut.
Detto questo, la probabilità che Al Issa non sapesse chi fosse la persona che scriveva l’articolo di apertura del suo giornale è molto bassa. Alla fine di ogni “pezzo” scritto a mano inviato al giornale Meirowitz firmava collo pseudonimo Abu Ibrahim, aggiungendo però, tra parentesi, il proprio nome.
Sembrerebbe quindi più plausibile che Meirowitz e Al Issa avessero cercato di celare il loro rapporto. In un impero dove la maggior parte degli abitanti erano musulmani, poveri e fellahin, Al Issa e Meirowitz non corrispondevano a nessuno di questi. E per questo arrivarono alla conclusione che se avessero firmato gli articoli con i propri nomi la cosa avrebbe avuto molta meno risonanza.
A prima vista sembrerebbe che le “lettere del fellah” non siano altro che una sofisticata propaganda sionista mascherata da “voce genuina”. Da un lato c’era nelle lettere un appello a promuovere nel paese le riforme moderne già in vigore in altre parti dell’Impero, per alleviare la dura vita dei fellahin. Ma le stesse riforme potevano essere di aiuto al movimento sionista per impadronirsi delle terre degli stessi fellahin. Come l’appello di Abu Ibrahim, apparso il 5 Novembre 1911, ad abolire il sistema di proprietà collettivo delle terre. Secondo il sistema, chiamato in arabo musha, la proprietà dei terreni era divisa tra tutti gli abitanti del villaggio, e ognuno riceveva ogni anno un pezzo di terra diverso. Questo significava, spiega Abu Ibrahim nel suo articolo, che nessuno dei fellahin aveva lo stimolo a rendere più fertile e produttivo il pezzo di terra assegnatoli ogni anno. “Il musha” conclude Abu Ibrahim “ è la causa principale della nostra sofferenza e povertà.”
Molti studiosi del conflitto arabo-ebraico sono convinti, invece, che l’abolizione della proprietà comune delle terre dei fellahin arabi in Palestina sia uno dei fattori principali che permisero alle istituzioni sioniste e a ebrei singoli di acquistare terreni arabi. Questo perché non c’era più bisogno di ottenere il consenso di tutti gli abitanti del villaggio.
In altre parole, l’appello ad abolire il musha apparso sul Falastin e su altri giornali arabi potrebbe essere interpretato come un grande risultato per il movimento sionista, e contemporaneamente, un comportamento sospetto da parte di un nazionalista arabo quale Issa Al Issa.
Ancora più sospetta è la furiosa risposta, apparsa nel gennaio del 1921, a una delle lettere di Abu Ibrahim. Il lettore, che si firma come un “Ottomano dei figli di Israele”, era un ebreo sionista che conosceva l’arabo. In disaccordo con quanto aveva scritto Abu Ibrahim nel numero precedente del giornale, il lettore ebreo protesta contro la discriminazione da parte del governo ottomano nei confronti degli ebrei, ma non nei confronti delle altre “razze” in Palestina.
Se l’“Ottomano dei figli di Israele” era veramente un ebreo che credeva che Abu Ibrahim fosse un fellah musulmano avremmo la prova che i lettori contemporanei prendevano sul serio le “lettere del fellah”. Se, invece, la lettera alla redazione era una falso ideato da Meirowitz e Al Issa, questo potrebbe indicare i limiti del’alleanza fra i due: una cosa era per un fellah musulmano come Abu Ibrahim menzionare di tanto in tanto gli ebrei della Palestina in luce positiva; ma ben altro era criticare il governo ottomano per la sua discriminazione nel confronto degli ebrei: i lettori del Falastinavrebbero immediatamente capito che si trattava di propaganda.
Perciò Al Issa e Meirowitz, per poter esprimere quella critica, avevano dovuto falsificare la lettera del lettore indignato.
L’ambivalenza di parte degli articoli di Meirowitz lascia aperta la domanda se l’agronomo fosse un “infiltrato” del movimento sionista, a cui era stato dato l’incarico di “traviare” Al Issa e promuovere gli interessi sionisti in Palestina.
Ma le numerose lettere inviate da Meirowitz ai leader dell’insediamento ebraico in Palestina provano che non era al servizio della propaganda sionista, quanto meno non in forma ufficiale.
Quando, infatti, cercò di avvicinarsi ai suddetti leader, raccontando del suo rapporto con Al Issa e dei suoi articoli sul Falastin, questi mostrarono poco interesse nelle “prodezze” di Abu Ibrahim.
La cosa sorprende non poco, dato che già nel 1909, su esplicita richiesta dell’Organizzazione Sionistica Mondiale, Artur Ruppin, direttore dell’ufficio in Palestina e uno dei massimi leader dell’insediamento ebraico, cominciò a seguire da vicino la stampa locale araba. I leader sionisti avevano capito molto presto che la liberalizzazione della stampa del 1908 aveva portato con sé un’ondata di pubblicazioni antisioniste.
Ruppin non si era limitato a monitorare la stampa araba, ma anche a influenzarla, pubblicando reazioni ad articoli che denigravano l’insediamento ebraico e a pagare giornali arabi, come ad esempio Al Nafir, perché pubblicassero articoli favorevoli all’immigrazione ebraica dall’Europa. Un’altra “arma” che si rivelò molto efficace per influenzare la linea delle redazioni dei giornali fu quella di acquistare decine e a volte centinaia di abbonamenti ad un giornale.
Ruppin era convinto che la linea antisionista in Palestina era capeggiata dagli arabi cristiani, e Meirowitz, che era al corrente di ciò, era sicuro che la leadership sionista lo avrebbe sponsorizzato. In fin dei conti pubblicava articoli su uno dei giornali arabi più influenti della Palestina, di cui il proprietario era, per l’appunto, un arabo cristiano “militante”. Esattamente “l’obbiettivo” di Ruppin.
A partire dal 1911 Meirowitz iniziò a tempestare Ruppin di lettere riguardo ad Al Issa e ai suoi articoli sul Falastin, chiedendo al leader sionista un supporto economico per la sua attività.
Inizialmente Ruppin ignorò del tutto le richieste di Meirowitz. Infine mandò un suo aiutante che propose all’agronomo di pubblicare un opuscolo con tutte le lettere di Abu Ibrahim. L’ufficio di Palestina avrebbe però finanziato solo una piccola parte della spesa e l’aiutante chiese a Meirowitz se era disposto a pagare di tasca sua il resto. La cosa fece infuriare Meirowitz e il progetto non andò in porto.
Amareggiato, l’agronomo continuò a spedire all’ufficio di Ruppin lettere, nelle quali traspare la sua frustrazione: “È ridicolo che io lavori, venti miei articoli sono già stati pubblicati, e tutto questo per cosa? A che serve? Non lo so.” Ruppin, da parte sua, continuò il suo silenzio.
Non è ovvio, oggi, capire perchè Ruppin fosse così “freddo” nei confronti di Meirowitz. Forse perché non vedeva di buon occhio la sua amicizia con Al Issa. O forse perché in fondo Meirowitz era una “mosca bianca” nel movimento sionista. Uno che non temeva di esprimere la propria opinione anche se non era “allineata” con i leader sionisti. Come sulla questione della cittadinanza ottomana. L’agronomo sosteneva che tutti gli ebrei della Palestina dovessero, come aveva fatto lui stesso, acquisire la cittadinanza ottomana. “Non siamo che una piccolissima vite nella grande macchina dell’Impero ottomano, e dobbiamo fare di tutto per cercare di migliorare la nostra posizione.” In questo Meirowitz non era solo. Molti altri ebrei, soprattutto quelli che erano nati e cresciuti nel Medio Oriente, chiedevano agli emigrati ebrei dell’Europa di prendere la cittadinanza dell’impero in cui vivevano.
Le lettere di Abu Ibrahim continuarono ad apparire sulle pagine del Falastin per ancora quattro mesi, fino all’agosto del 1912. E poi, all’improvviso, cessarono, senza alcuna spiegazione.
Quale fu il motivo della separazione tra Meirowitz e Al Issa? Un anno dopo gli eventi, Abu Ibrahim fornì la sua versione ai fedeli lettori della sua rubrica sulle pagine di Al Nafir, un giornale di bassissima diffusione, famoso per gli articoli pubblicati a pagamento.
Abu Ibrahim spiegò ai suoi lettori delusi che “ …nella vita succede che anche due amici per la pelle legati da un affetto profondo… abbiano un contrasto di idee .” Nel racconto completo della separazione tra i due, in gran parte inventato, Abu Ibrahim spiega che si era assentato dal paese per lunghi mesi per recarsi alla Mecca a fare il pellegrinaggio richiesto dall’Islam. Durante il suo viaggio aveva mandato delle lettere da pubblicare sul Falastin. Ma al suo ritorno aveva scoperto che Al Issa non le aveva pubblicate. Sfogliando i numeri del giornale pubblicati in sua assenza il deluso fellah si chiese” perché (Al Issa) inietta tutto questo veleno nei cuori delle persone invece di consigliare come avvicinarsi e unirsi uno all’altro. Invece fa di tutto per allontanare i cuori, e questo veleno finirà per diffondersi nei corpi di tutti gli abitanti inoffensivi del paese.”
Abu Ibrahim non spiega chi Abu Issa avesse istigato e contro chi, limitandosi a indicare “i vicini”, anch’essi abitanti della Palestina. Il fellah spiegò, che in quanto musulmano, “ho smesso si scrivere sul suddetto giornale per poter adempiere al precetto: “Scegli il tuo vicino prima di cercare una casa.” Il che sembrerebbe indicare che Abu Ibrahim avesse optato per gli ebrei come vicini, al posto del Falastin.
L’articolo numero 21 apparso su Al Nafir fu l’ultimo della serie “lettere di un fellah”. Nell’archivio di Meirowitz c’è però un’altra lettera, scritta poco dopo i sanguinosi avvenimenti del 1929, nei quali persero la vita 133 ebrei per mano di aggressori arabi.
Anche questa lettera era scritta in francese, ma a firmarla era un altro fellah, chiamato Abu Chalil. “Questa lettera è rivolta a voi, miei poveri fratelli fellahin. Non so se vi ricordate che prima della guerra… uno dei nostri fratelli, un semplice fellah, ebbe il coraggio di pubblicare le sue lettere in un giornale.” Ma Abu Chalil aveva cattive notizie da dare: il suo caro amico Abu Ibrahim era morto durante la guerra mondiale, mentre stava andando a visitare i suoi fratelli nella città di Salt in Giordania.
Ma l’anno 1929 era completamente diverso dal 1912. Qualsiasi alleanza tra sionisti e arabi di Palestina, che era forse possibile alla fine del periodo ottomano, sembrava adesso impossibile. Se 17 anni prima Meirowitz aveva evitato, in forma manifesta, la propaganda sionista, nel 1929 dedicò il suo articolo alla propaganda e a rimproverare duramente la leadership araba in Palestina, seppur camuffato dal fellah musulmano Abu Chalil. Riferendosi al massacro di 67 ebrei a Hebron scrisse: “Perché abbiamo massacrato il povero Slonim (uno dei leader della comunità ebraica a Hebron), che era nato a Hebron… ed era uno dei nostri migliori amici? Perché?”
Ma nonostante ciò Meirowitz non si dava per vinto e continuava a credere nella capacità di Abu Ibrahim e dei suoi parenti di convincere gli arabi a smettere di opporsi al sionismo. Durante la rivolta araba del 1936-9 si rivolse con una lettera urgente alla Comissione Peel, un organismo inviato in Palestina dal governo britannico. L’organismo, che aveva lo scopo di indagare le cause della rivolta araba, propose nel 1937 un piano di spartizione del territorio palestinese per la costituzione di due stati, uno ebraico e l’altro arabo. Nella lettera, inviata alla fine del 1936, Meirowitz proponeva il suo aiuto per reprimere la rivolta. L’agronomo annunciò alla commissione che intendeva mandare una lettera aperta agli anziani dei villaggi arabi in Palestina, per “ricordare loro lo stato in cui si trovavano cinquant’anni prima e di paragonarlo con la loro situazione attuale.” Ma anche questa volta la risposta a Meirowitz da parte della commissione Peel fu alquanto laconica.
Non sappiamo se alla fine Meirowitz tradusse e diffuse la sua lettera nel culmine della rivolta araba. La lettera stessa era molto lunga, scritta in nome di Abu Ibrahim, che ripeteva letteralmente la narrativa sionista del periodo, secondo la quale i proprietari terrieri arabi (gli Effendi) che temevano di perdere potere a causa della modernizzazione portata dai sionisti, erano coloro che istigavano le masse popolari arabe, che non avevano niente contro il sionismo. Abu Ibrahim accusava i fellahin arabi di farsi trascinare dietro agli istigatori, che sostenevano, tra l’altro, che i sionisti intendevano distruggere i luoghi santi dell’Islam e del Cristianesimo.
Nonostante anche questo articolo fosse firmato da Abu Ibrahim, non era lo stesso Abu Ibrahim del 1911. Meirowitz, che aveva capito che oramai non serviva più fingere, aggiunse alla sua firma le parole “uno degli anziani di un villaggio ebraico”.
In altre parole, nel 1936, mentre gli inglesi reprimevano l’opposizione araba al sionismo, i rapporti che erano stati possibili nel 1911 tra le élite ebraiche e quelle arabe sotto la bandiera ottomana diventarono impossibili.
Ma rimane il fatto che la storia delle strana coppia, Meirowitz ed Al Issa, rivela un momento storico sorprendente: ebrei ed arabi che collaborano per una patria comune, non per nostalgia del periodo d’oro della Spagna del periodo pre-Inquisizione, ma in nome di interessi sociali ed economici comuni.
Davide Silvera
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