La coppia perfetta
«Il cielo e la terra e tutto il loro esercito erano ormai completi. Nel settimo giorno Dio aveva completato l’opera Sua che aveva fatto, così nel settimo giorno cessò da tutta la Sua opera che aveva compiuto. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso aveva cessato la sua opera…».
Genesi 2, 1-3
Disse Rabbì Simeone ben Jochàj: «Quando fu terminata l’opera della creazione, il (Settimo Giorno) Sabato si lamentò: ‘Signore dell’universo, tutto quel che hai creato è fatto a coppia: e a ogni giorno della settimana Tu hai concesso un compagno; soltanto io sono rimasto solo’. E Dio gli rispose: «La Comunità d’Israele sarà il tuo compagno».
Bereshìt Rabbà 11, 9
Esaminando con attenzione il passo del Genesi che tratta della creazione del mondo, si nota che ogni giorno della creazione. corrisponde parallelamente a un altro, formando cosi una coppia.
Infatti:
1° giorno: Dio crea la luce. 4’ giorno: Dio crea il sole, la luna, stelle ecc.
2° giorno: Dio crea il mare e il cielo. 5’ giorno: Dio crea i pesci e i volatili.
3° giorno: Dio crea la terra con la vegetazione. 6’ giorno: Dio crea gli animali, della terra e l’uomo.
È ovvia quindi la corrispondenza: sia nel primo giorno sia nel quarto Dio crea la luce.
Nel secondo giorno viene creato il cielo e la terra, che serviranno anche per i pesci e i volatili, creati nel quinto.
Nel terzo giorno Dio crea la terra con la vegetazione, che servirà come nutrimento all’uomo e agli animati, creati nel sesto.
Per cui l’obiezione dello Shabbàt è legittima.
Senonché risponde Dio: lo Sbabbàt ha un compagno più importante, il popolo ebraico, con il quale forma un’unione mistica.
Secondo altri il Midràsh avrebbe un altro significato.
Lo Shabbàt sosterrebbe che ogni giorno della creazione produce in realtà qualcosa di positivo, grazie all’opera dell’uomo; invece lo Shabbàt, essendo un giorno di riposo, non produce nulla e quindi non apporta nulla di positivo alla società umana.
Senonché risponde Dio che l’accoppiamento con il popolo ebraico porterà dei buoni frutti, superiori anche a quelli degli altri giorni, essendo essenzialmente spirituali.
Scrive Heschel (A.J. HESCHEL, Il Sabato, ed. Rusconi, Milano, 1972 pag. 78): «Nonostante la sua maestà, il Sabato non è autosufficiente la sua realtà spirituale reclama la partecipazione dell’uomo. Un ardente desiderio pervade il mondo: i sei giorni hanno bisogno dello spazio, il settimo ha bisogno dell’uomo. Non è bene che lo spirito sia lasciato solo; per questo, Israele è stato destinato a essere il compagno del Sabato».
E cosi continua, dando al Midràsh una collocazione storica ben precisa: «Per comprendere il contenuto di questa nuova concezione (quella espressa nel Midràsh), occorre rendersi conto dello spirito dell’epoca: Rabbi Simeone apparteneva a una generazione che, sotto la guida di Bar Kokhbà, si era levata in armi contro la potenza di Roma, in un estremo tentativo di riconquistare l’indipendenza e ricostruire il Tempio di Gerusalemme.
Senza questo Santuario Israele sembrava solo al mondo. Ma la rivolta fu soffocata e risultò chiaro che non vi sarebbe stata un’altra possibilità di sollevazione e che per molto tempo il Santuario sarebbe rimasto in rovina. Tuttavia Rabbì Simeone proclamò che Israele non sarebbe rimasto solo, perché era consacrato alla Santità, all’eternità. Questo matrimonio era stato combinato molto tempo prima che la storia iniziasse; l’unione con il Sabato era indissolubile; ciò che Dio aveva unito non poteva essere disgiunto.
In un’epoca in cui in Roma la deificazione dell’imperatore era assurta a dottrina ufficiale, Rabbì Simeone esaltava la più astratta delle cose: il tempo, il settimo giorno.
La tradizione ebraica era avversa a ogni personificazione, anche se nelle sue allegorie essa personificava retoricamente la sapienza della Torà.
L’audacia di Rabbì Simeone consisteva nel celebrare un giorno e nell’esaltare l’intima unione di Israele con il Sabato».