È la città della Risiera, l’unico lager nazista in Italia; è stata la città più ebraica d’Italia, la Porta di Sion, lo scalo per raggiungere Israele. Eppure solo con la storica vittoria del centrosinistra alle amministrative un ebreo è entrato in giunta. Il primo dal 1918. Colloquio con Andrea Mariani, neo assessore alla Cultura ed ex presidente della comunità ebraica triestina.
Alessandro Marzo Magno
È stata la città più ebraica d’Italia (tra le due guerre: in termini percentuali. E seconda dopo Roma come numero). Eppure, dal 1918, cioè da quando il tricolore ha cominciato a sventolare sul colle di San Giusto, mai Trieste aveva avuto un assessore ebreo.
A rompere la tradizione è Andrea Mariani, per dieci anni presidente della Comunità ebraica triestina, voluto dal neosindaco Roberto Cosolini come assessore alla Cultura. Andrà a sedersi su una poltrona occupata in precedenza da due esponenti di punta della destra triestina, come Roberto Menia e Paris Lippi, oggi moderati, un tempo molto meno; un salto epocale, non c’è dubbio. Mariani, 49 anni, è nato a Milano, ma ha vissuto gran parte della sua vita a Venezia, dove ha lavorato nei negozi di calzature di famiglia. Si è trasferito a Trieste a fine anni Novanta, è passato dal commercio alle assicurazioni. Poco prima di andare in Municipio per accettare la nomina si è dimesso da presidente della Comunità. Resta invece consigliere dell’Unione delle Comunità ebraiche nazionali, con l’incarico di coordinamento del Nordest e delle relazioni con le Comunità dell’Est Europa.
La scelta del sindaco Cosolini ha spiazzato prima di tutto lui. «La conoscenza c’era da anni», precisa Mariani, «abbiamo più volte elaborato un ragionamento comune sulla città, ma non avrei mai pensato che ne derivasse una conseguenza politica. Mi ha preso di sorpresa». Trieste è una città plurale, meticcia, per usare una parola cara a un suo figlio illustre, Paolo Rumiz. Ma troppi la tirano per la giacchetta cercando di appropriarsi della sua identità. «La scelta coraggiosa di Roberto Cosolini», continua il neo assessore alla Cultura, «ha rotto un tabù secolare, non tanto per una realtà come quella ebraica, ma perché è la decodificazione della volontà di rimettere in comunicazione le varie anime di Trieste, quella italiana, slovena, serba, greca, armena, oltre che ebraica, naturalmente. Questa è l’identità triestina, la triestinità in una parola sola; voglio riportarla a esprimere tali concetti, intendo porre Trieste in relazione col mondo e far sì che la cultura sia tra la gente, diffusa e di qualità».
Mariani ci tiene a sottolineare che la scelta coraggiosa di Cosolini non riguarda solo la sua persona, ma tutta la giunta «composta da persone operative, espressione delle varie realtà triestine, prima fra tutti la vicesindaco Fabiana Martini, che proviene dal mondo delle Acli» (Martini proprio un anno fa è stata silurata per scarsa ortodossia dal vescovo Giampaolo Crepaldi dalla direzione del settimanale diocesano Vita Nuova che aveva tenuto per dieci anni).
Fare l’assessore alla Cultura a Trieste può essere una sfida entusiasmante: è la città di Italo Svevo, di Umberto Saba (e salvare la sua libreria è una delle priorità che Mariani si è dato), di Scipio Slataper, di Srečko Kosovel (uno dei più importanti poeti sloveni), la città dove James Joyce ha vissuto e concepito l’Ulisse, ma anche la città di personaggi assolutamente negletti, come Carlo Ghega, uno dei più importanti costruttori di ferrovie di tutti i tempi, o di Vincenzo Bronzin, il matematico che nel 1908 scopre una formula che avrebbe cambiato il mondo della finanza.
Mariani intende approfondire il filone letterario, ma anche riprendere la storia della Trieste di prima e dopo la Grande guerra, paradossalmente tanto trascurata dal punto di vista culturale, quanto celebrata da quello della retorica nazionalista, periodo in cui la città adriatica competeva con le grandi capitali europee della cultura. E poi ancora valorizzare la presenza giovanile nel teatro, dare un progetto di grande respiro a cinema e musica, valorizzare il rapporto tra la città e il mare, integrare fra loro i numerosi musei, creare un riferimento per l’arte contemporanea in modo da attirare i giovani, aprire un centro di cultura giovanile, un posto dove i giovani possano trovarsi. Infine il sogno: un grande evento triestino. «Tutte le città che ci circondano hanno un grande evento culturale di richiamo che a Trieste manca», sostiene Mariani. Naturalmente c’è la Risiera. «Penso a un futuro di centro studi internazionale, come a Berlino, Washington, Gerusalemme. Conservazione della memoria non significa solo ricordare, ma cercare di fare avere ai giovani un futuro diverso».
Trieste ha un asso nella manica ineguagliabile: è vicina a molte capitali europee (Lubiana e Zagabria per prime, ma Vienna e Budapest sono meno lontane di Roma), il che ne fa un punto di riferimento naturale per tutta l’area.
La presenza ebraica nella Trieste di oggi (circa 600 persone), non ha nulla a che vedere con quella precedente alle leggi razziali del 1938 (oltre 7 mila), «e questo non solo per l’annientamento, ma anche per la secolare assimilazione e per l’emigrazione in tutti gli angoli del mondo e in particolare in Israele», precisa Mariani. Qualche esempio di ebrei triestini emigrati? Fiorello La Guardia: sua madre era la triestina Irene Coen Luzzato; Leo Castelli, il gallerista newyorkese che ha lanciato Andy Warhol e Roy Lichtenstein; Claude Erbsen, a lungo vice presidente dell’Associated Press.
La nomina di Mariani ad assessore ha innescato una positiva reazione a catena. «Ho avuto testimonianze di entusiasmo», osserva, «dalle altre minoranze triestine, dal mondo sloveno, greco, serbo, ovviamente dalle comunità ebraiche e dal presidente del museo della Shoah, Marcello Pezzetti. Ma devo sottolineare l’entusiasmo di molti individui che fanno parte della comunità cattolica che mi hanno fermato per strada dicendo “fratello”, e non “fratello maggiore”».
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