Capitolo 3 – Gli Ebrei in Italia fino all’inizio della Controriforma
Le fonti
Gli ebrei prestatori di denaro
Regno di Napoli
Stato pontificio
Repubblica veneta
Le Comunità dell’Emilia, delle Marche e della Toscana
Liguria e Piemonte
Le fonti
Oltre a fonti e documenti di storia generale e scritti di autori citati nel racconto della storia del periodo e più avanti al capitolo XVIII, è conservata una relazione dettagliata, in ebraico, delle persecuzioni di Paolo IV. Da questo periodo in poi si hanno abbondanti documenti vari, in parte pubblicati, di archivi dei vari Stati, di Comunità, di istituti religiosi non ebraici, e iscrizioni. Indicazioni particolari si trovano nelle varie monografie sulle singole Comunità.
Gli ebrei prestatori di denaro
Due serie di fatti ebbero per conseguenza che l’occupazione principale degli Ebrei in Italia ed anche in altri paesi fosse il prestito ad interesse, per lo più con pegno. Da un lato le disposizioni restrittive che vietavano agli Ebrei il possesso di beni stabili, limitavano le loro possibilità di occuparsi di commercio, li escludevano praticamente dall’artigianato, dagli impieghi pubblici e dall’esercizio di professioni liberali; da un altro lato il divieto che la Chiesa imponeva ai Cristiani di esercitare il prestito a interesse, che era però necessario venisse praticato per le esigenze del commercio, spinsero gli Ebrei a occuparsene e non di rado i vari governi favorirono il loro afflusso a questo scopo, a volte invitandoli nei loro territori.
In genere veniva fatto una specie di contratto (capitoli) fra i governi e gli Ebrei per un dato periodo di tempo; i capitoli stabilivano le norme da seguire, le restrizioni a cui erano soggetti i prestatori e i diritti e le esenzioni di cui essi godevano. Anche da questa occupazione gli Ebrei furono spesso esclusi, specialmente dove e quando furono istituiti, per iniziativa del clero, i Monti di pietà. Istituzioni di questo genere si ebbero, oltre che nelle prime città in cui esse vennero fondate (vedi vol. II, p. XXX), alla fine del secolo XV e nella prima metà del XVI a Firenze, Reggio, Pavia, Pisa, Firenze, Roma Venezia e altrove.
Regno di Napoli
Per quanto nel 1492 a Napoli regnasse Ferdinando I, della casa di Aragona, gli Ebrei non ne furono espulsi, a differenza di quello che avvenne in Sicilia; anzi nel suo territorio trovarono rifugio alcuni degli esuli dalla Spagna e tra questi Yitzchàk Abravanèl (vedi vol. II, p. XXX).
Scoppiata una pestilenza fra gli Ebrei, il re non solo non aderì alla richiesta di coloro che ne chiedevano l’espulsione, ma fece costruire nei dintorni di Napoli abitazioni provvisorie per i malati e provvide alla loro cura.
Sotto di lui e sotto il suo successore Alfonso, Yitzchàk Abravanèl ebbe importanti uffici di stato. Ma, quando il regno di Napoli fu conquistato da Carlo VIII re di Francia (1494), Abravanèl dovette abbandonare il paese e perdette i suoi averi e i suoi libri. Anche quando, dopo lunghe guerre tra Francia e Spagna, Napoli cadde sotto la Spagna (1505) dove regnava ancora Ferdinando, gli Ebrei non ne furono espulsi, perché si ritenne che il loro allontanamento avrebbe prodotto gravi danni al commercio del Paese. Si cominciò però a perseguitare i Marrani e un tribunale di Inquisizione venne istituito a Benevento. Due figli di Yitzchàk Abravanèl, Yehudà Leon e Shemuèl continuarono a esercitare uffici importanti, ma nonostante la loro influenza, non riuscirono a impedire che, diventato re di Napoli l’imperatore Carlo V, questi emanasse (1533) un decreto di espulsione degli Ebrei: solo riuscirono a far sì che l’esecuzione fosse differita di dieci anni, ma di fatto l’espulsione avvenne nel 1540. Gli esuli ripararono per la maggior parte in Turchia e in territori italiani posti sotto il dominio papale. A Shemuèl Abravanel fu concessa l’esenzione dal decreto di espulsione, ma egli non volle accettare il favore che gli veniva offerto dai nemici del suo popolo.
Stato pontificio
I papi, e in primo luogo Alessandro VI, (1492-1503), meno ligi di altri sovrani alle leggi della Chiesa a capo della quale stavano, accolsero di buon grado nei loro paesi non solo gli Ebrei profughi dalla Spagna ma persino i Marrani che, secondo le disposizioni ecclesiastiche, avrebbero dovuto essere consegnati nelle mani dell’Inquisizione. Solo raramente essi furono puniti, e quasi soltanto quando la confisca dei loro beni recava forti entrate all’amministrazione papale. Il papa era mosso non da sentimenti di simpatia verso gli Ebrei, ma da avidità di denaro, e per questo ammise a Roma gli Ebrei profughi dalla Spagna per quanto i membri stessi della Comunità ebraica romana non vedessero di buon occhio il loro arrivo, per timore di essere danneggiati nei loro interessi commerciali. La politica di Alessandro VI fu proseguita da Giulio II (1503-1513) e così la Comunità di Roma aumentò di numero e di prosperità e vi si raccolsero Ebrei provenienti da molti paesi diversi. I papi si servirono di medici ebrei, concessero loro di curare i Cristiani, e accordarono loro e alle loro famiglie speciali esenzioni, fra cui la dispensa dall’obbligo di portare il segno distintivo (vedi vol. II, p. XXX). Leone X (1513-1521) per quanto abbia accolto con disprezzo e offeso la delegazione ebraica che, come di consueto, si presentò a lui nel giorno della sua incoronazione, fino al punto di buttare in terra il Sèfer Torà che essi recavano, non mutò la politica verso gli Ebrei, alleggerì i tributi a cui erano sottoposti ed esentò la Comunità dalle multe che avrebbe dovuto pagare per aver accresciuto il numero delle Sinagoghe oltre quello che per legge era consentito; autorizzò inoltre l’apertura a Roma di una stamperia ebraica, che però non fu molto attiva e venne chiusa nel 1518. Ancor più tollerante si mostrò Clemente VII (1523-1534) che in contrasto con l’azione dell’Inquisizione accolse favorevolmente Davìd Reubenì e Shelomò Molco. Durante il suo pontificato la Comunità di Roma si organizzò con una serie di norme che ne regolarono l’amministrazione e che vennero ratificate dal Pontefice. Gli Ebrei soffrirono al pari del resto della popolazione per il sacco di Roma, compiuto dall’esercito di Carlo V (1527). Clemente VII, favorevole ai progetti di movimenti ebraici che si proponevano di cacciare i Turchi, impose agli Ebrei una tassa speciale a questo scopo. Paolo III (1534-1549) venne rimproverato da un vescovo francese per la sua troppa benevolenza verso gli Ebrei; di fatto egli proibì delle rappresentazioni ostili agli Ebrei che si solevano fare nei giorni precedenti alla Pasqua cristiana ma d’altra parte agì attivamente, ma senza risultati notevoli, per indurre gli Ebrei all’apostasia.
Repubblica veneta
Come già sappiamo (vedi vol. II, pag. XXX, XXX, XXX) la repubblica veneta si mostrò, nei primi secoli della sua esistenza, in genere ostile agli Ebrei.
Subito dopo l’espulsione dalla Spagna, essa accolse un certo numero di Ebrei e di Marrani, ma poi (1497) fu ordinato a questi ultimi di abbandonare entro due mesi il territorio della repubblica: l’ordine però non poté in pratica essere eseguito, e anzi il numero degli Ebrei andò aumentando sia a Venezia che a Padova: quest’ultima Comunità diventò anche un centro importantissimo di studi e vi affluirono dotti provenienti sia dalla penisola iberica che dai paesi germanici. Le popolazioni però erano animate da sentimenti ostili verso gli Ebrei, per quanto essi, al pari degli altri abitanti, avessero fatto molti sacrifici durante il lungo periodo di guerre (1508-1515) che afflissero la repubblica. Nel 1516, rimettendo in vigore un’antica disposizione che non era mai stata osservata, il Senato decise che gli Ebrei venissero concentrati in un quartiere speciale separato e chiuso (ghetto); l’obbligo del segno distintivo venne applicato con grande rigore e solo pochi, e con gravi difficoltà, ne vennero esentati. Intorno al 1535 venne organizzata con norme stabili il funzionamento della Comunità, con rappresentanza dei tre elementi: italiano, spagnolo (Sefardita) e tedesco (Ashkenazita). Tra gli Spagnoli era notevole il numero dei Marrani che in gran parte si erano tolti la maschera cristiana. Questo fatto mise in grave pericolo la Comunità perché nel 1550 venne rinnovato il decreto di espulsione dei Marrani già emanato nel 1497 e mai eseguito. Ma le proteste dei commercianti cristiani, strettamente collegati coi Marrani nel commercio di esportazione ed importazione, fino al punto che essi si dichiararono pronti ad abbandonare la repubblica se l’espulsione fosse stata effettuata, fecero sì che anche questa volta i Marrani restassero; solo pochi di essi furono individualmente processati e condannati.
Le Comunità dell’Emilia, delle Marche e della Toscana
Fra le Comunità dell’Emilia continuarono ad avere importanza Ferrara, Modena e Reggio dove gli Ebrei seguitarono a vivere tranquilli e a prosperare sotto i duchi della casa d’Este. Verso queste città, e specialmente a Ferrara, affluirono in numero notevole i profughi dalla penisola iberica e dal regno di Napoli; anche la famiglia Abravanèl (vedi vol. II, p. XXX) vi trovò rifugio. Comunità minori esistevano a Carpi, Cento, Lugo e altrove. In genere le condizioni degli Ebrei non erano cattive, ma di quando in quando non mancarono disordini e violenze contro di loro come avvenne per esempio a Bologna nel 1520 e a Modena nel 1523. Accuse di omicidio rituale fatte a Modena nel 1530 non ebbero gravi conseguenze. A Modena si stanziarono pure profughi dall’Europa centrale che fondarono nel 1532 una sinagoga.
Nel ducato di Urbino, sotto Francesco Maria della Rovere (1508) si usò particolare rigore nell’osservanza delle norme relative agli Ebrei e nuove restrizioni furono imposte.
In Toscana è da segnalare specialmente la Comunità di Firenze che costituitasi verso la metà del secolo XV, quando vi furono invitati dal governo banchieri ebrei per esercitarvi l’ufficio di prestatori di denaro (vedi vol. II, p. XXX), andò aumentando di popolazione e di importanza; specialmente ben disposto verso gli Ebrei si mostrò Lorenzo il Magnifico. Contro gli Ebrei in genere e in particolare contro i prestatori predicò Girolamo Savonarola. L’istituzione di banchi pubblici di prestiti (Monti di Pietà) danneggiò gli interessi dei banchieri ebrei e non pochi di essi dovettero abbandonare la città. Il ritorno dei Medici (1512) rimise le cose nelle condizioni precedenti e il duca Cosimo I accordò speciali concessioni ai commercianti Ebrei e, soprattutto a Firenze e a Pisa, sorsero importanti case di commercio, appartenenti in parte a profughi dalla penisola iberica, che esercitavano attivo commercio specialmente con la Turchia.
Liguria e Piemonte
A Genova, che si era sempre opposta alla introduzione di Ebrei come abitanti stabili del territorio della repubblica, e di dove erano stati male accolti profughi dalla Spagna, fu concesso a un piccolo numero di stanziarvi; espulsi nel 1516 furono poi di nuovo ammessi e sottoposti a gravi restrizioni.
In Piemonte si ha una serie di concessioni e restrizioni che si vanno alternando. Le concessioni di residenza e di esercitare il prestito di denaro erano, come di consueto, per un periodo determinato e venivano di regola rinnovate.