Note di critica biblica – La Rassegna Mensile di Israel, vol. 39, no. 4 (April 1973): 245-249
Come è noto, secondo la tradizione, dieci volte nel Sefer Torà alcune lettere o parole vengono segnate con un punto sopra la lettera. Di questo si parla in numerose parti del Talmud e del Midrash[1]. Generalmente le fonti danno una interpretazione di tipo midrashico alle punteggiature, ma riportano anche l’opinione che queste esprimano dei dubbi della tradizione sulla grafia originale del testo[2]. Non c’è un completo accordo della critica sull’effettivo significato di queste antiche segnalazioni; in ogni modo risulta abbastanza evidente che i punti sono stati messi su alcune lettere che se vengono cancellate lasciano una versione del testo leggermente differente, ma comunque logicamente accettabile. Una analisi accurata del testo conferma la validità di questa spiegazione, ed è agevole dimostrare caso per caso quali sono i motivi per cui i Soferim hanno segnalato alcune lettere o parole dubbie nel testo da loro esaminato[3].
In un caso tuttavia, pur essendo accettabile questo tipo di spiegazione, è possibile supporre un motivo completamente diverso. Si tratta del verso 4 del cap. XXXIII del Genesi che in italiano può essere così tradotto: «Esav corse incontro a lui [Yaacov] e lo abbracciò, gli si gettò al collo e lo baciò e piansero». La parola vaishakehu (e lo baciò) è punteggiata in tutte le sue lettere. Accettando la comune interpretazione, si potrebbe dire che i punti cancellano l’intera parola dal testo. La frase infatti ha ugualmente senso anche se mancano le parole «e lo baciò». Tuttavia mentre è possibile spiegare le altre nove volte le punteggiature della Torà con motivi logici o grammaticali, in questo caso, anche se dopo aver cancellato la parola, la frase ha ugualmente senso, non ci sono dei motivi logici, rigorosamente dimostrabili, per confermare la necessità della cancellazione. Per questo ritengo sia possibile suggerire un’altra interpretazione. Il verso in esame si trova nel brano in cui si narra l’incontro di Esav con Yaacov che torna nella terra di Canaan dopo una lunga assenza. Malgrado i giustificati timori di una vendetta di Esav, espressi nel capitolo precedente («salvami da mio fratello, da Esav, perché io lo temo, affinché non venga e mi colpisca…»), Yaacov viene accolto affettuosamente dal fratello che lo abbraccia e lo bacia. La parola che la tradizione ha punteggiato sta proprio nel momento culminante dell’episodio.
Io penso che la parola punteggiata possa segnalare una data. È noto infatti l’uso di scrivere in ebraico numeri e date con lettere, e di segnare quelle lettere con linee o punti. Se si sommano i valori numerici delle lettere che compongono la parola (vav = 6, iod = 10, scin = 300, kof = 100, he = 5, vav = 6) si ottiene una cifra, 427, inferiore a 1000. Ammettendo che sia una data, questo può significare che la data è stata scritta senza l’indicazione delle migliaia, cioè nell’uso più corrente, «secondo il computo minore» (lifrat katan).
A questo punto bisogna scegliere, tra sei possibili date, (427, 1427, 2427, 3427, 4427, 5427) quella che un ignoto sofer avrebbe voluto segnalare alla nostra attenzione. Due di queste, il 5427 e il 4427, si possono escludere perché le fonti di midrash che segnalano la punteggiatura sono precedenti a queste date; altre due, il 427 e il 1427, vanno escluse perché di epoche anteriori alla storia biblica. Rimangono il 2427 e il 3427. Per quanto riguarda la prima, non abbiamo la possibilità di riferirle con esattezza cronologica a qualche avvenimento storico e quindi il problema resterebbe aperto. L’altra data invece si riferisce ad un episodio di tale importanza nella storia ebraica e con tali suggestivi punti di confronto con l’episodio biblico dell’incontro tra Esav e Yaacov, che senz’altro la notazione sembrerebbe in rapporto ad essa.
Il 3427 corrisponde circa al 333 av. E. V. Il 332 è l’anno in cui Alessandro Magno conquista Gerusalemme. Degli avvenimenti in Palestina di quel periodo si sa ben poco. Una storia dai colori quasi leggendari viene raccontata da Giuseppe Flavio (Antichità G., XI, 825); secondo questi, Alessandro marciava verso Gerusalemme per punire il Gran Sacerdote che gli aveva rifiutato il suo aiuto; ma il re macedone si ritrasse dai suoi propositi quando incontrò il sacerdote, che, vestito dei paramenti più preziosi, gli era venuto incontro seguito da un corteo di sacerdoti e dignitari. Alessandro concesse agli ebrei la libertà di seguire le proprie leggi e il pericolo di distruzione della città fu così miracolosamente sventato. Una storia simile si trova anche nel Talmud (Yomà 69a) in una Baraità che secondo i critici confonde due diversi episodi. La critica contesta la validità della tradizione riferita da Giuseppe Flavio; tuttavia anche se si discute sulla veridicità delle note marginali, è assai probabile che di quel che si racconta siano effettivamente accaduti i due momenti principali, cioè l’incontro tra il re e il sacerdote e la mancata distruzione di Gerusalemme. (Anche nella storia cristiana c’è un episodio analogo, l’incontro, nel 452, del papa Leone I con Attila re degli Unni, che rinunciò a invadere l’Italia).
A questo punto bisogna spiegare cosa significa la segnalazione della data dell’incontro di Alessandro con il Gran Sacerdote nel testo del capitolo 33 della Genesi. Un principio fondamentale della critica ebraica tradizionale vuole che gli avvenimenti narrati nella Torà debbano essere interpretati come situazioni simboliche di eventi futuri della storia di Israele (Ma’ase avot siman labanim). Nell’ambito di questa concezione la storia biblica del conflitto tra Yaacov ed Esav è generalmente intesa come simbolica del conflitto fra il popolo ebraico e i non ebrei. Potrebbe essere lecito trovare nella punteggiatura di Genesi 33 una antica applicazione di questo metodo interpretativo, riferita agli avvenimenti della conquista ellenica della Palestina.
Yaacov ed Esav sono in quel momento il Gran Sacerdote e Alessandro, Israele e il mondo greco. Il confronto è tanto più suggestivo quando si esaminano i particolari delle due storie. In entrambi i casi, Israele è debole e l’avversario molto più forte di lui; in entrambi i casi, Israele teme di essere colpito e distrutto; in entrambi i casi, i rappresentanti dei mondi in conflitto si incontrano personalmente; e soprattutto in entrambe le storie il conflitto si risolve in un abbraccio.
È dunque possibile che un ignoto studioso della Torà, che aveva assistito all’episodio o che ne aveva ricevuto notizia, abbia visto nella storia dell’incontro di Esav e Yaacov una allusione alle vicende della conquista di Alessandro; e che, scoprendo nel testo biblico una parola, «vaishakehu», il cui valore numerico corrisponde alla data in cui quegli eventi si erano svolti, abbia voluto segnare per sempre quella data con dei punti che, mantenuti dai copisti successivi, sarebbero poi entrati a far parte della Masorà.
L’interpretazione che ho proposto alla punteggiatura di Genesi XXXIII, 4 non è applicabile alle altre nove punteggiature della Torà. Cioè nessuna delle altre punteggiature segna una data, e il nostro caso sarebbe una eccezione. È interessante notare, a conferma della ipotesi della particolarità della notazione in Genesi XXXIII, 4, il dato riportato dal Muller[4] che riferiva nel 1878 che il rotolo della Torà cinese conservato a Vienna avesse solo il verso di Genesi XXXIII punteggiato e non tutte le altre nove punteggiature prescritte.
L’interpretazione che ho dato non contrasta con quella che Rabbi Yannai in Bereshith Rabbà dà alla punteggiatura; può anzi farle avere un più preciso significato. Rabbi Yannai sostiene che i punti indicano che invece di leggere «vaishakehu», che significa «e lo baciò», si deve leggere «vaishachehu», che significa «e lo morse», forma che deriva da un verbo la cui radice N. SH. CH. differisce da quella del verbo baciare «N. SH. K.» per una sola consonante. Ma il collo di Yaacov, continua il midrash di Rabbi Yannai, divenne duro come il marmo (lo conferma il Cantico dei Cantici in un verso che dice: «Il tuo collo è una torre d’avorio»). Il midrash spiega anche la parola successiva del verso: «piansero»; che non vuol dire che piansero dalla commozione, come in apparenza potrebbe sembrare, ma che uno piangeva per il collo che, anche se poco, era stato morso; e l’altro piangeva per i denti che dolevano per aver morso il marmo.
Il midrash di Rabbi Yannai significa questo: che le intenzioni di Esav erano tutt’altro che pacifiche e che in realtà questi voleva subdolamente eliminare l’avversario; ma Yaacov resistette saldamente malgrado la ferocia dell’attacco e le piccole perdite subite, anche se dolorose (il pianto di Yaacov per il collo morso), mentre Esav si dichiarava sconfitto (il pianto per i denti).
A questo punto si può tentare di collegare il Midrash alla storia di Alessandro. Secondo l’interpretazione che ho proposto per la punteggiatura, Yaacov ed Esav in un certo periodo della storia diventano i simboli di Israele e del mondo greco. Il midrash di Rabbi Yannai acquisterebbe una precisa identità storica, riferito alle vicende relative allo scontro tra Israele e la Grecia che riassumerebbe sinteticamente. Un’inizio falsamente pacifico (la tolleranza di Alessandro), a cui segue il tentativo del mondo greco di vincere e soffocare culturalmente e politicamente Israele (l’Ellenismo e le persecuzioni); infine la vittoria di Israele che resiste all’attacco non senza dolorose perdite (una parte del popolo che si assimila alla cultura greca).
Certo, non si può dimostrare che Rabbi Yannai si riferisse effettivamente al mondo greco e al suo conflitto con Israele; pare infatti più verosimile che il suo discorso fosse di carattere più generale, sullo scontro tra Israele e i suoi nemici di ogni tempo. Tuttavia, quello che è importante notare è che non esiste una contraddizione di fondo tra il discorso del midrash e l’interpretazione che ho proposto.
Riccardo Di Segni
[1] Vedi ad es. Bemidbar Rabbà, 3:13; Avoth derabbi Natan, 34-4; Massechet Soferim, 6:3; Sifrè, Beaalotechà, 69:18:1.
[2] In Avoth derabbi Natan, 34:4, si legge questa frase «perché (le lettere sono punteggiate)? Così disse Ezrà: se Elia verrà e mi chiederà per quale motivo ho scritto (quelle lettere), gli risponderò che le avevo segnate con dei punti; se invece mi dirà che ho fatto bene a scriverle, mi basterà togliere i punti che ho messo sopra».
[3] Per un esame dettagliato vedi ad es. J. Muller, Masecheth Soferim, Leipzig 1878, pagg. 86-90.
[4] Vedi, Muller, op. cit., pag. 88.
