«Ho potuto conoscere ognuno di voi», scrive Laras
Comunità divisa, si dimette il rabbino capo
L’addio dopo 25 anni: «Ho riflettuto, lascio in estate». Dietro la scelta il timore della mancanza di mezzi per continuare il lavoro
La lettera di rav Giuseppe Laras è arrivata d’improvviso nelle case degli ebrei di Milano, «carissimi fratelli e sorelle della comunità, dopo attenta riflessione ho deciso che, nell’estate prossima, lascerò l’incarico di rabbino capo». E da quel momento in tanti, stupiti, gli stanno scrivendo per chiedergli di rimandare almeno le dimissioni. Perché l’addio di Giuseppe Laras, che ha l’incarico da 25 anni e tra l’altro è presidente (e lo rimarrà) dell’Assemblea rabbinica d’Italia, segnala un problema che non sarà facile risolvere, nella comunità italiana più numerosa dopo Roma: quello della perdita di unità, del «senso di appartenenza alla comunità». Del resto le dimissioni non sono una questione di anzianità, Laras compirà 70 anni in aprile, grandi rabbini come Elio Toaff sono rimasti in carica oltre gli ottanta e non esiste, come per i vescovi cattolici, un’età pensionabile. E allora la faccenda è più complicata, anche per la statura della persona: docente di storia del pensiero ebraico alla Statale, Laras arrivò a Milano come rabbino capo nel gennaio del 1980, gli stessi giorni in cui faceva ingresso il cardinale Carlo Maria Martini. E proprio l’apertura e l’amicizia fra i due, i momenti di incontro e di meditazione biblica comune hanno portato Milano all’avanguardia del dialogo fra ebrei e cristiani. Ma Laras resterà in città, continuerà a insegnare. L’essenziale piuttosto è che in questi anni il rabbino capo ha rappresentato anche una sorta di punto di equilibrio, fra le varie anime degli ebrei milanesi.
Perché la comunità di Milano è per certi versi unica in Italia, una realtà giovane: si è formata solo nell’Ottocento (dai Visconti agli Sforza, agli ebrei era vietato rimanere in città più di tre giorni) e dagli anni Cinquanta ha cominciato ad accogliere gente da tutto il mondo, specie durante le guerre arabo israeliane. Così oggi gli ebrei milanesi sono circa diecimila, 6.500 iscritti alla comunità, e ai tanti laici si aggiungono i più disparati gruppi e riti, dagli iraniani ai libici, dagli askenaziti agli hassidim ai riformati, quasi un microcosmo del mondo ebraico che riflette i problemi di tante comunità della diaspora in Occidente.
«In questi anni ho potuto conoscere personalmente ognuno di voi», scrive il rabbino, «ho anche dovuto affrontare momenti comunitari molto difficili: polemiche e contrapposizioni a proposito di alcune scelte, sofferte e necessarie, che andavano ribadite all’interno di una comunità ebraica».
Gli scontri non sono mancati, quando ad esempio si parlava delle conversioni dei figli nati da matrimoni misti o della kasherut , le norme sul cibo kosher o «adatto» al fedele. Scrive Laras: «È soprattutto in questi momenti di tensione, di divisione e quindi di pericolo che ho avvertito, al di là di qualsiasi retorica, il peso della responsabilità rabbinica, pur nella consapevolezza di agire per dei principi che in una comunità ebraica vanno salvaguardati e difesi».
È in tale fatica che qualcosa dev’essersi incrinato. Il rabbino Laras mantiene il riserbo, ma a quanto si dice nella comunità il peso si è fatto di giorno in giorno più difficile da sostenere: come un senso di isolamento, l’idea che l’ufficio rabbinico non avesse i mezzi per proseguire. Nella lettera non c’è traccia di polemiche, più che altro la cognizione di lasciare una comunità «meno divisa di un tempo», anche se «non sempre è stato facile». D’altra parte, spiega Laras, «è inevitabile che in una comunità come la nostra, composta di gruppi di diversa provenienza e tradizione, si manifestino momenti di confronto dialettico o anche di polemica aperta». Per questo «fin dall’inizio del mio rabbinato fra voi mi sono posto come obiettivo primario, assieme al rafforzamento e alla difesa delle specifiche tradizioni dei singoli gruppi, quello di consolidare il senso di appartenenza alla comunità». Questo è l’essenziale, «l’obiettivo che a mio avviso dovrebbe essere perseguito da chi, dopo di me, assumerà la responsabilità rabbinica della nostra comunità».
Sarà dura: le tante tradizioni, la secolarizzazione, «un’ampia fascia di “invisibili” che in quanto tali non si riesce a raggiungere e coinvolgere». La paura, insomma, che ci si divida in tante monadi. Roberto Jarach, presidente della comunità, conosce bene il rischio: «Ma la scelta del rabbino Laras non dipende da momenti particolari di tensione nella comunità», assicura, «io stesso ne sono rimasto stupito, anche se da un po’ di tempo si avvertiva una sorta di equivoco: alcuni membri laici gli avevano chiesto quando intendesse lasciare, da tempo manifestava una certa stanchezza, e temo che lui lo abbia interpretato male, come fosse una pressione, mentre invece si trattava di programmare un passaggio che non può essere semplice: le stesse parole del rabbino, nella sua lettera sono un richiamo per il futuro. Tutti sappiamo che l’unità sarà l’elemento cruciale. E ci vorrà molto equilibrio».
di Gian Guido Vecchi
© Corriere della Sera – Venerdi – 07 Gennaio 2005
Il personaggio
IL RABBINO Giuseppe Laras, nato a Torino, compirà 70 anni in aprile. È rabbino capo di Milano dal gennaio 1980 e presidente dell’Assemblea rabbinica d’Italia: le dimissioni annunciate non riguardano quest’ultimo incarico
IL DOCENTE
Insegna Storia del pensiero ebraico all’università degli Studi di Milano: la cattedra del «Centro di Judaica Goren-Goldstein» fa parte del corso di Lettere e filosofia
L’IMPEGNO
Dall’arrivo a Milano, insieme con il cardinale Carlo Maria Martini, ha dato grande impulso al dialogo fra ebrei e cristiani: meditazioni comuni, letture e commenti pubblici della Bibbia. Un rapporto proseguito con il cardinale Dionigi Tettamanzi
A MILANO / Luzzatto: «Mi sentirò più solo». La regista Ruth Shammah: «Ha posto a tutti il problema dell’identità»
Via il rabbino capo, bufera nella comunità ebraica
Il portavoce: lui è il nostro maestro, potremmo lasciare in molti. Il presidente: evitiamo mosse suicide
MILANO – Le ore che precedono lo shabbat non sono molto tranquille, la lettera di dimissioni del rabbino capo Giuseppe Laras ha scosso l’intera comunità ebraica di Milano e le telefonate si rincorrono finché il portavoce Yasha Reibman sillaba: «Se un rabbino capo come Laras arriva a fare una scelta di questo tipo bisogna riflettere. Lui è il nostro maestro e se ha deciso di dire certe cose in un certo modo significa che ci vuole insegnare qualcosa. Per questo non escludo che molti di noi intendano dimettersi dal consiglio della comunità». Così il presidente Roberto Jarach avverte che sarebbe «una sciocchezza sciogliere il consiglio quando la cattedra rabbinica è vacante, di più: un suicidio». Calma e sangue freddo: «Situazioni delicate come questa richiedono anzi la massima unità, bisogna concentrarsi nella ricerca di una soluzione».
Ma intanto si cerca il perché. Il consiglio della comunità (19 membri fra laici, religiosi e la lista centrista di Jarach e Reibman) ha votato una mozione per chiedere al rabbino di restare, Laras parla di decisione «irrevocabile». E in tutto questo i problemi organizzativi paiono più un sintomo che il problema vero. «Non ci sono mai state pressioni sul rabbino Laras perché non l’avrei permesso – dice il presidente Jarach -. E quanto alle questioni organizzative io, per formazione, ho semplicemente chiesto un quadro manageriale delle esigenze: lo avevamo già definito».
Ma Laras parla della sua «fatica» per mantenere unita una comunità complessa, 6.500 iscritti delle più disparate provenienze e pensieri, dagli hassidim ai laici. «Del resto, mantenere l’unità nella diversità è una questione universale ed è la lotta che compiamo da sempre – sospira il presidente della comunità italiane, Amos Luzzatto -: il suo ritiro mi farà sentire più solo, anche se so di poter continuare a contare sul suo consiglio fraterno». Il vicepresidente Claudio Morpurgo riflette: «È l’ennesima prova di responsabilità di un grande maestro, Laras ha fondato un dialogo molto forte con l’esterno proprio muovendo da un’identità forte: ora ci sta avvertendo che rischia di perdersi». E Cobi Benatoff, presidente del Congresso ebraico europeo: «Temo che come rabbino sia diventato un bersaglio per la sua misura, è troppo poco ortodosso per gli ultraortodossi e viceversa». Così «il problema è il futuro – dice Emanuele Fiano -, io sono uno di quei laici che considera la sua uscita una grave perdita». Sarà per questo che il consigliere Yoram Ortona scandisce: «È fondamentale che riconsideri le sue dimissioni, tanto più che la successione va preparata».
Ciò che resta, spiega la regista Andrée Ruth Shammah, è «non un problema, ma il problema: il grande tema dell’identità. L’ebraismo è il tentativo di non accontentarsi delle semplificazioni rassicuranti, cerchi non solo di darti una risposta ma di porti anzitutto le domande giuste, in questo momento la cosa più difficile. Perciò la lettera di Laras mi ha turbato, qui sta la sua forza: pone una grande domanda, la domanda».
A MILANO Si è formata solo nell’Ottocento, anche perché, dai Visconti agli Sforza, agli ebrei era vietato rimanere in città più di tre giorni. Il numero degli iscritti è cresciuto dagli anni Cinquanta del Novecento
I NUMERI
Oggi gli ebrei milanesi sono circa diecimila, 6.500 iscritti alla comunità. Ai tanti laici si aggiungono i più disparati gruppi e riti: dagli iraniani ai libici, dagli askenaziti agli hassidim, ai riformati
G. G. V.
© Corriere della Sera
Rammarico e sorpresa nel mondo politico e intellettuale milanese: è un uomo equilibrato e aperto al dialogo
«Le dimissioni di Laras? Una perdita per tutta la città»
Grande rammarico in città per le dimissioni di Giuseppe Laras, rabbino capo per venticinque anni della comunità ebraica milanese che conta 6 mila 500 iscritti, seconda solo a Roma che ne conta 15 mila. Descritto come un uomo straordinariamente equilibrato, riflessivo e moderato, un raffinato intellettuale interprete di un ebraismo aperto al dialogo, sono in molti a confessare di sentirne già la mancanza nella vita culturale e spirituale milanese. Esprime sorpresa e incredulità il vicesindaco Riccardo De Corato, che ricorda di aver incontrato il professor Laras «svariate volte, l’ultima a metà dicembre per la festa della Channukka in piazza Cordusio»: «Mi auguro che possa ripensarci e che la comunità ebraica riesca a recuperarlo al ruolo di rabbino capo – dice -. La comunità ebraica e la città hanno ancora bisogno di lui che ha sempre saputo ricoprire un ruolo fondamentale per il dialogo interreligioso».
Profondamente dispiaciuto si descrive Filippo Penati, presidente della Provincia, che auspica come successore di Laras «un uomo che voglia e sappia continuare la sua opera di grande apertura verso le altre culture e religioni»: «Ci mancherà comunque la sua ferma volontà a lasciare aperta la porta del dialogo in questi tempi in cui pesano fortemente le spinte dell’integralismo e dell’intolleranza».
Don Gianfranco Bottoni, responsabile dell’ufficio ecumenico per il dialogo interreligioso della diocesi di Milano, racconta del «rapporto quasi familiare» caratterizzato da una profonda stima che lo lega al rabbino Giuseppe Laras, «figura ebraica tra le più autorevoli per il dialogo tra cristiani ed ebrei, importante interlocutore anche per la Conferenza Episcopale che da 16 anni celebra ogni 17 gennaio una giornata dell’ebraismo»: «Ogni volta che ci siamo trovati per approfondire i testi della Bibbia – dice -, ho sempre trovato in lui un uomo particolarmente attento sul piano spirituale, pronto a mettere in evidenza la dimensione concreta, pratica, “orizzontale” per così dire, della vita del credente, ebreo o cristiano che sia».
Don Bottoni va indietro con la memoria al primo incontro pubblico mai avvenuto tra un arcivescovo e un rabbino capo: «Era l’ottobre del 1990 quando il cardinal Martini e il professor Laras s’incontrarono, una data storica». Da allora, le occasioni di incontro e dialogo tra la comunità cattolica e quella ebraica si sono moltiplicate, «sempre in un clima di fraterna amicizia e di profonda spiritualità», sottolinea. Ed è così che affiora in lui il ricordo nitido del «grande calore con il quale nel settembre 2003 il cardinale Tettamanzi venne accolto nel tempio ebraico di via della Guastalla». Don Bottoni si professa sicuro che «il professor Laras continuerà la sua opera per il dialogo nel suo ruolo di presidente dell’associazione delle comunità ebraiche italiane» e conclude: «Mi auguro che chi raccoglierà la sua eredità come capo della comunità ebraica milanese vorrà proseguire nel suo segno fruttuoso».
Dispiaciuto per le dimissioni di Giuseppe Laras, anche per via delle motivazioni che ne sono alla base, si dice Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea alla Statale nonché consigliere Rai, d’estrazione cattolica, che ha avuto modo di apprezzare la «straordinaria pacatezza» del rabbino capo frequentandolo come collega d’università. Spiega: «Nelle sue motivazioni si colgono i segnali della disgregazione della comunità ebraica, non più legione compatta e pugnace, ma comunità che sta sfortunatamente perdendo identità, travagliata com’è da molte anime e da troppe assenze». E aggiunge: «Non si sostituisce facilmente un uomo di tale statura intellettuale».
«Ci mancherà come uomo di pace, come interprete di un ebraismo capace di universalità, di abbracciare tutta l’umanità in una città come Milano che tende sempre più all’intolleranza», assicura la professoressa Milena Santerini, docente di pedagogia all’università Cattolica e studiosa della Shoah , alla quale di Laras piace ricordare «la fedeltà esemplare alla Shoah senza particolarismi ma come memoria al servizio di tutte le vittime della storia oltre che la disponibilità assoluta a sostenere le iniziative della comunità cattolica di Sant’Egidio e la straordinaria capacità di dialogare non soltanto con il mondo cristiano ma anche con quello islamico».
E proprio la comunità islamica milanese recapita a Giuseppe Laras «tanti auguri come cittadino e come presidente dell’associazione delle comunità ebraiche italiane». «Ho avuto più volte modo di lavorare con il rabbino Laras e tra noi c’è sempre stato un ottimo rapporto – dice Shari Abdul Hamid, presidente del Centro islamico di viale Jenner -. Insieme abbiamo cercato di vivere al meglio nel rispetto delle leggi italiane».
Gloria Pozzi