E lo racconterai a tuo figlio
Rav Haim Navon – Makor Rishon – 11 aprile 2025
Miei amati nipoti: Eitan, Tal, Ishai e Shir, Papà è di nuovo in servizio militare, e probabilmente festeggerete la notte del Sèder senza di lui. Papà Yonatan era all’esercito a Rosh Hashanah, Yom Kippùr, Sukkòt, Simchat Torà e Chanukkà; e ora probabilmente sarà all’esercito anche durante la notte del Sèder. La vostra mamma leonessa, Noa, si assicurerà insieme ai nonni che la notte del Sèder sia fantastica. Tuttavia, quando papà è lontano non è la stessa cosa – specialmente quando si tratta di un papà come lui. Eppure, è importante che vi dica: papà non è veramente lontano.
La notte del Sèder ci insegna che ci sono diversi modi per adempiere al comandamento più importante: “E lo racconterai a tuo figlio“. Lo mettiamo in pratica con le parole, e per questo abbiamo l’Haggadà di Pesach. E quando mangiamo matzà e maròr, ricordiamo l’uscita dall’Egitto anche con le papille gustative. Quando ci sediamo inclinati sul lato sinistro, ricordiamo l’uscita dall’Egitto anche con la postura del corpo. Un padre può adempiere di “E lo racconterai a tuo figlio” anche senza parlare; e talvolta persino la sua assenza fisica dalla tavola è un messa in pratica del precetto di raccontare l’uscita dall’Egitto.
La notte del Sèder è una notte di domande e risposte. Quando alla domanda “Dov’è papà?” si risponde: “È a proteggerci nell’esercito” – questa è una nuova-antica interpretazione dell’uscita dall’Egitto. L’incredibile dedizione di vostro padre, al servizio militare da un anno e mezzo, è in sé un’espressione precisa di amore, di un padre ai suoi figli: guardate cosa papà è disposto a fare per proteggervi. Ed è anche un’espressione precisa dello spirito del popolo: l’uscita dall’Egitto non è solo una documentazione storica conservata in vecchie pagine, ma è una forza motrice che vive nei cuori.
I figli d’Israele non hanno compreso subito che dovevano agire per proteggersi. Persino Mosè proclamò al Mar Rosso: “Il Signore combatterà per voi, e voi tacerete“, finché il Signore non dovette correggerlo: “Perché gridi verso di me?! Parla ai figli d’Israele – che si muovano!“. Mosè imparò la lezione, e presto dovette ordinare a Giosuè figlio di Nun: “Scegli per noi degli uomini ed esci a combattere contro Amalek“. Anche oggi, gli eletti combattono contro Amalek. È vero, sono troppo pochi, e non abbastanza si schierano al loro fianco. La storia ebraica ricorderà chi si è fatto avanti e chi invece lo ha evitato, e questi guerrieri scelti sono coloro che trasmetteranno ai loro figli il vero significato dell’uscita dall’Egitto: come un popolo di schiavi si è lasciato alle spalle la bassezza dello spirito e si è trasformato in un popolo di guerrieri per il nome del Cielo.
Il cuore dell’Haggadà di Pesach sono le interpretazioni e i commenti sul brano delle primizie da portare al tempio nel libro del Deuteronomio, che riassume la storia d’Israele. Così la Mishnà formula l’essenza dell’Haggadà: “E interpreta da ‘Un arameo voleva far perire mio padre’ fino a completare l’intera sezione“. Tuttavia, in pratica, l’Haggadà di Pesach non interpreta tutti i versetti di questa sezione. Si ferma ai segni e ai prodigi dell’uscita dall’Egitto, e non menziona i due versetti conclusivi: “E ci condusse in questo luogo, e ci diede questa terra, terra dove scorre latte e miele. Ed ecco, ora ho portato le primizie dei frutti della terra che Tu, o Signore, mi hai dato. E le deporrai davanti al Signore tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio“.
Perché l’Haggadà non interpreta e commenta anche questi versetti, che parlano dell’eredità della terra? Commentatori e studiosi hanno proposto varie risposte. E io dico: l’Haggadà tace, perché voleva lasciare spazio all’interpretazione offerta dal padre di Shir, Ishai, Tal ed Eitan. Questa sua interpretazione non è scritta a parole, ma con il sudore e la nostalgia; ma se provo a tradurla in parole, mi sembra che direbbe che i versetti del brano che parlano dell’esilio in Egitto e nel deserto non esprimono più richieste ai figli d’Israele, e solo dopo l’eredità della terra appaiono nel versetto azioni attive degli ebrei: devono portare, deporre e prostrarsi. Il Signore ci condurrà alla terra, a condizione che anche noi portiamo e offriamo. E questa interpretazione è migliore e più bella di tutte le altre interpretazioni che conosco per questa parte dell’Haggadà di Pesach.
Cosa simboleggiano i frutti delle primizie che offriamo? Anche a questa domanda risponde l’interpretazione di vostro padre: “Ed ecco, ora ho portato davanti a Te, Signore, un anno e mezzo di lontananza da casa, dalla mia amata moglie e dai miei dolci figli; un anno e mezzo di caldo di giorno e gelo di notte; un anno e mezzo in cui il sonno è fuggito dai miei occhi; un anno e mezzo di guerra per una terra dove scorre latte e miele, che ci hai dato“. E una voce celeste risponde dopo di lui: Amen. Con l’aiuto di Dio, presto sarà scritto l’ultimo capitolo di questa interpretazione, e sarà la spiegazione di pace e gioia delle parole “L’anno prossimo a Gerusalemme ricostruita“.
E comunque forse all’ultimo momento manderanno in licenza papà per tornare a casa per la festa.