Con questa parashà si conclude l’oscuro periodo di schiavitù del popolo ebraico in Egitto durato quattrocentotrenta anni.
Nella parashà viene letta la Shirat ha Jam, la cantica che intonarono Mosè e tutto il popolo ebraico, quando arrivati all’altra sponda del Mar Rosso, videro finalmente i loro nemici, che la potenza divina aveva fatto annegare nel mare: “…Ashira l’A’ ki gaò gaà sus ve rokhevò ramà vajam” “..canterò al Signore poiché è eccelso, cavallo e cavaliere affondò nel mare”.
I giorni dell’uscita dall’Egitto sono ricordati e celebrati nella tradizione ebraica con la festa di Pesach, durante la quale, noi Ebrei ci asteniamo dal cibarci di pane e altri cibi lievitati, per simboleggiare l’umiltà che l’uomo deve avere nei confronti del prossimo, atteggiamento che lo fa identificare come uomo libero.
Nella festa di Pesach, come per le altre grandi festività, durante la preghiera mattutina – shachrit- si recita l’allel che consiste in una raccolta di salmi festivi.
La differenza che vi è nella recitazione dell’allel, fra Pesach e le altre festività è che dal terzo giorno di Pesach, l’allel viene recitato in modo abbreviato ossia si omette una parte di esso.
Per quale motivo avviene ciò, se la festa di Pesach è considerata la più importante delle festività ebraiche?
C’è un midrash che racconta che il popolo ebraico insieme ai Malakhim (gli angeli divini) per celebrare il passaggio del Mar Rosso, lodavano D-O, recitando l’allel completo e il Signore si rivolse loro in modo adirato dicendo:
“ …una parte dei miei figli sono morti e voi siete qui a cantare le mie lodi?”
Anche se gli egiziani sono considerati i primi nemici del popolo ebraico poiché lo hanno reso schiavo per quattrocento anni, sono pur sempre degli esseri umani creati da D-o.
Per questo motivo, noi dal terzo giorno di Pesach e per tutta la durata della festa recitiamo l’allel in modo parziale, omettendo quei salmi, ma tutti i giorni della nostra vita, recitiamo la shirat ha jam – la cantica del mare.
Con questo shabbat cade anche la ricorrenza di Rosh ha Shanà Lailanot – il Capo d’anno degli alberi.
Vi è un nesso molto stretto fra la parashà di beshallach e questa festa, in cui si celebra il risveglio della natura, anche se questa è una festa comandata dai Maestri della Mishnà e non direttamente dalla Torà.
Vi sono più parti in questo brano di Torà in cui si ha a che fare con gli alberi e soprattutto con l’acqua; la parashà stessa è un po’ la celebrazione dell’acqua, con il racconto del passaggio del Mar Rosso.
Vi è però un altro episodio che avviene subito dopo il passaggio del Mare ed è quello che va sotto il nome di “Le acque amare”.
Il popolo, dopo aver attraversato il mare, si sente particolarmente stanco ed ha sete; nelle vicinanze, trovano un pozzo ma non possono bere l’acqua di quel pozzo perchè è amara e quindi si rivolgono a Mosè, affinché interceda presso il Signore per mandare l’acqua per potersi dissetare.
Il Signore comanda a Mosè di gettare il suo bastone nell’acqua del pozzo e nello stesso momento l’acqua diviene dolce e potabile.
Il bastone, in quel passo della parashà, viene chiamato ‘Ez che vuol dire albero e non “mattè” termine sempre usato dalla Torà per definire il bastone di Mosè; ciò significa che l’albero ha la capacità di rendere dolce la vita dell’uomo, simboleggiata dall’acqua, che è l’elemento fondamentale per mantenerlo in vita.
La Torà ci insegna quindi che l’albero ha una posizione primaria nella vita dell’uomo ed è per questo che essa ci comanda continuamente di aver rispetto per gli alberi, allo stesso modo che per gli uomini.
La festa di Rosh ha shanà lailanot o più semplicemente Tu bi shvat (15 di shevat) celebra un momento importante della vita campestre, ossia non proprio il risveglio completo della natura ( che avviene in primavera inoltrata), ma la cessazione delle piogge torrenziali, quelle che infondono una tristezza invernale, e quindi la speranza di un cambiamento climatico a breve termine.
Il tradizionale seder che noi celebriamo in quel giorno, viene sancito dai quattro bicchieri di vino che berremo nel corso di esso (analogia con il seder di pesach), che simboleggiano in un certo senso il cambiamento della stagione: il passaggio dalla stagione fredda a quella primaverile.
Questo simbolismo è caratterizzato dai due tipi di vino – bianco e rosso- che man mano, da un bicchiere all’altro, si colorano, riprendendo e simboleggiando così il colore forte del calore solare.
Da bianco si passa gradualmente al rosso e ciò simboleggia l’arrivo graduale della stagione più anelata dall’uomo.
Shabbat shalom e chag sameach