Come l’ombra dell’uccello che vola…
L’attualità letta ebraicamente
L’attuale conflitto tra Federazione Russa e Ucraina pone molte domande e non potremo affrontarle e cercare di approfondire tutti gli aspetti dei quali la Halakhà e il pensiero ebraico si sono interessati. Innanzi tutto osserviamo che la tradizione ebraica si è occupata soprattutto delle guerre che ha affrontato il popolo ebraico, ma non tanto di quelle delle altre nazioni, e questo nonostante che la guerra sia purtroppo una delle manifestazioni più comuni della storia. La Torà e le mizvoth sono state date al popolo d’Israele e non ai gentili: per quanto riguarda gli altri popoli, il Talmud tratta sostanzialmente delle Sette Leggi di Noè destinate all’Umanità e, tra queste, la proibizione di versare sangue innocente, di rubare e di fare violenza sessuale (stupro): questi comandamenti sono stati trasgrediti nel conflitto in Ucraina.
Uno degli episodi che ha caratterizzato questo conflitto e che è assurto a simbolo di quesita guerra e che sembra sia arrivato al suo stadio finale, è stato l’assedio posto dall’esercito russo all’acciaieria di Mariupol, durato per oltre ottanta giorni. La storia è piena di racconti di assedi: la Bibbia narra il lungo assedio posto a Gerusalemme, e la Meghillat Echà (Lamentazioni) è una testimonianza di quale fosse l’animo degli assediati. Gli assedi erano eventi frequenti e il più noto è quello posto dai Greci a Troia: la città fu conquistata dai Greci che la invasero, usando il famoso cavallo di legno ideato da Ulisse, fu messa a ferro e fuoco e i troiani massacrati. Proprio alla vigilia dell’ingresso del popolo ebraico in Erez Israel, in vista delle guerre che il popolo avrebbe dovuto affrontare, la Torà parla delle norme da osservare per un assedio (Deuteronomio 20: 10- 12 e 19 – 20):
10 Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. 11 Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. 12 Ma se non vuol far pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai. ….19 Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai, perché l’albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell’assedio? 20 potrai distruggere e recidere soltanto gli alberi che saprai non essere alberi da frutto, per costruire opere d’assedio contro la città che è in guerra con te, finché non sia caduta.
Tre sono le norme che si imparano da questi passi:
- Innanzi tutto l’obbligo di offrire prima la pace: solo in caso di rifiuto, è permesso assediare la città.
- La mizvà di mangiare i frutti degli alberi da frutto
- La proibizione di tagliare gli alberi in generale (se non perché servono quando si fa un l’assedio) e di non deviare le acque di un fiume che lo mantiene in vita.
Secondo Maimonide (Hilkhot melakhim, cap. 6) la proposta di pace andava fatta nei casi di una Guerra sia di mizvà(obbligata), sia di reshut (permessa) e inoltre, basandosi su quanto scritto in Sifrè, a proposito della guerra contro i Midianiti (Numeri 31, 7), Maimonide stabilisce – in base a una tradizione orale (mipì hashemuà) – che al nemico assediato andrebbe sempre lasciata una via di fuga, in maniera tale che chi vuole salvarsi possa farlo. Il problema si pose per Israele durante l’assedio posto a Beirut circa quaranta anni or sono: l’esercito d’Israele lasciò una via di scampo ai terroristi che si erano macchiati di crimini verso la popolazione civile: questi ne approfittarono per riarmarsi e creare nuovi attentati. La decisione se lasciare una via di scampo spetta al Comando supremo che deve valutare se il nemico sarà poi pronto a costruire un percorso di pace oppure se ne approfitterà per lanciare altre campagne di distruzione, attentati, ecc. Un concetto sul quale il Midrash si sofferma qui e in altri casi è che la misericordia va usata con chi ne è meritevole, altrimenti potrebbe essere interpretata come un atto di debolezza e non raggiungerebbe il suo scopo: il nostro scopo deve essere quello di indurre la persona a fare un percorso di teshuvà, cioè pentimento e ritorno a un comportamento rispettoso delle leggi di Noè.
La proibizione di tagliare gli alberi da frutto ha chiaramente lo scopo di permettere sia agli assediati che agli assedianti di risparmiare ciò di cui ci si può nutrire. La tradizione (sempre riportata da Maimonide) ha ampliato questo concetto: nella mizvà del Bal tashkhit (Non distruggere) è inclusa la proibizione di distruggere qualsiasi cosa che possa essere ancora utile.
Questa mizvà comporta anche la proibizione di non deviare un corso d’acqua che avrebbe l’effetto di seccare gli alberi da frutto, contravvenendo così alla proibizione di tagliare gli alberi.
Circa l’utilità o meno anche delle erbe e dei fiori, può essere significativo citare quanto racconta Rabbi Arieh Levin (il rabbino dei prigionieri):
“Una volta dopo la preghiera di Minchà Ghedolà di shabbat, (cioè dopo le 13 circa), sono andato a passeggiare assieme a Rabbi Izchak hakohen Kuk zzl, cosa che usava fare per concentrarsi sui suoi pensieri. Io mi offrii di accompagnarlo. Per la strada strappai un’erba. Il rav si scandalizzò e mi disse con calma: Credimi che nella mia vita mi sono sempre guardato dal raccogliere un fiore o una pianta che potesse ancora crescere e germogliare, perché non c’è pianta in basso che non abbia un mazal (un protettore) in alto che gli dice. cresci! Ogni germoglio ogni erba dice qualcosa, ogni pietra sussurra qualche mistero, ogni creatura pronuncia un canto”.
Secondo il grande kabbalista italiano Recanati, questa idea si appoggia proprio sul nostro verso “poiché l’uomo è come un albero del campo” (Deuter. 20, 19).
Ricordiamo ancora che come dice Ramban a proposito del verso quando muoverai guerra contro i tuoi nemici, stai attento dal fare qualsiasi cosa cattiva (Deuter. 23: 10): La Torà si riferisce ai momenti in cui è più facile che l’uomo venga trascinato dal peccato, ed è noto che quando si va in guerra si perde ogni freno: si mangia ogni cosa proibita, si ruba, si fa adulterio e ogni azione malvagia, l’uomo si veste di crudeltà e ira, quando va in guerra contro il nemico. Per questo la Torà ci mette in guardia: quando andrai a fare la guerra: stai attento dal fare qualsiasi cosa cattiva ” .
Comunque accanto all’analisi di ciò che può accadere e ciò di cui bisogna astenersi nella guerra, i profeti da una parte e i maestri dall’altra non hanno mai smesso di auspicare la pace.
Le parole dei Profeti
Così si esprime il profeta Micha (4. 1 – 5):
1Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e si innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno i popoli. 2Verranno molte genti e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 3Egli sarà giudice fra molti popoli e arbitro fra genti potenti, fino alle più lontane. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. 4Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà, perché la bocca del Signore degli eserciti ha parlato! 5Tutti gli altri popoli camminino pure ognuno nel nome del proprio Dio, noi cammineremo nel nome del Signore, nostro Dio, in eterno e per sempre.
Le parole dei Maestri – 1
E l‘uomo cosa deve fare nell’attesa che i tempi messianici si realizzino? Le parole di Rabbàn Yochannàn ben Zakài possono essere istruttive:
“Se farai per me un altare di pietra, non lo costruire di pietra tagliata, perché colpendolo con la tua lama lo profaneresti” (Esodo 20: 25): La Torà afferma (Deuter. 27,6) “costruirai pietre intere (shelemòt): l’altare deve portare pace (shelemòt da shalom). Si può fare un ragionamento a forziori: Se per le pietre dell’altare che non vedono e non parlano, impongono la pace tra Israel e il loro padre celeste, il Santo benedetto sia dice non alzare la spada su di loro – chi porta la pace tra uomo e uomo, tra l’uomo e la moglie, tra una città e l’altra, tra una nazione e l’altra , tra una famiglia (di nazioni) e l’altra, tra un governo e l’altro – tanto più che non deve essere raggiunto dalla punizione” (Mekhiltà derabbì Ishma’èl 20: 21).
Le parole di Rabbàn Yochannàn ben Zakài possono essere istruttive: anche gli oggetti inanimati (si pensi ai palazzi bombardati) hanno qualcosa da dire: ciò che l’uomo ha costruito ha una sua sacralità e non deve essere distrutto.
La preghiera dei Maestri – 2
L’Ucraina è stata una terra in cui prima della Shoà viveva almeno un milione e mezzo di ebrei, e assieme alla vicina Russia, è stata attraversata da pogrom e massacri di ebrei, ma questi non hanno smesso di sperare e di pregare. Rabbi Nachman di Braztzlav, maestro Chasid, vissuto a Bratzlav e sepolto a Uman sempre in Ucraina, ha scelto queste parole per auspicare e chiedere la pace:
“Ti sia gradito, Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, Signore della Pace, Re cui la pace appartiene, di porre la pace nel tuo popolo Israele. E la pace si moltiplichi fino a penetrare in tutti coloro che vengono al mondo. E non ci siano più né gelosie né rivalità né vittorie né motivi di discordia fra gli uomini, ma ci siano solo amore e pace fra tutti. E ognuno conosca l’amore del suo prossimo, in quanto il suo prossimo cerca il suo bene e desidera il suo amore e agogna il suo costante successo, al fine di potersi incontrare con lui e a lui unirsi, per parlare insieme e dirsi l’un l’altro la verità …. in questo mondo: Un mondo che passa come un batter d’occhi, come un’ombra. Non come l’ombra di una palma o di un muro, ma come l’ombra dell’uccello che vola… (Likutè tefillòt, preghiera 27)
Dopo le parole del profeta, è possibile pensare a una sede per le trattative di pace – e perché no per l’ONU – che non sia Gerusalemme?
Le parole di Rabbì Yochannàn ben Zakkài e di Rabbi Nàchman di Bràtzlav riusciranno a penetrare nei cuori di coloro che si confrontano in battaglia, e far sì che le loro armi si trasformino in rami d’olivo
Scialom Bahbout