Descrizione
Libro di preghiere di rito italiano in uso oggi nelle sinagoghe, con chiare indicazioni dei brani recitati dal solo chazàn (ufficiante) e quelli recitati invece insieme al pubblico, per una partecipazione consapevole alle funzioni.
Cultura ebraica a tutto campo
€24,00
Siddùr per Tish’à Beàv di rito italiano סידור לתשעה באב כמנהג בני רומי
2004 – Pagine 204 – Roma
Copertina | Brossura morbida plastificata |
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Formato | 148×210 mm |
Testo | Testo ebraico e traduzione italiana a fronte |
Libro di preghiere di rito italiano in uso oggi nelle sinagoghe, con chiare indicazioni dei brani recitati dal solo chazàn (ufficiante) e quelli recitati invece insieme al pubblico, per una partecipazione consapevole alle funzioni.
18 luglio 2004 – 29 tammùz 5764
Secondo le parole del Talmùd, il Mashìach, che porrà fine a tutte le nostre sofferenze, si nasconde tra poveri e malati alle porte di Roma. Sarà forse anche per questo che la comunità ebraica di Roma vive il tema della distruzione di Gerusalemme e del Bet Hamikdàsh – e l’attesa per la sua ricostruzione – con particolare intensità! Le preghiere del giorno del nove di Av, a cominciare dalla corale recitazione di Ekhà al lume di candela la sera, e le speciali melodie struggenti e disperate delle kinnòt della mattina, e poi il senso di consolazione imminente di Minchà, tutte seguite da un grande pubblico malgrado la stagione estiva, stanno a rappresentare un rapporto speciale, forte e singolare con i grandi problemi storici e spirituali di questo giorno.
Questa nuova edizione delle preghiere del 9 di Av risponde all’esigenza di fornire a un pubblico sempre più largo e interessato un testo chiaro e facile da seguire come lo sono tutti quelli della nuova collana del Siddùr Benè Romi. Particolari ringraziamenti vanno al Rabbino Chaim Della Rocca che già curò la prima edizione, ai tipografi-editori David e Mira Piazza, e al giovane Jacov Di Segni che ha controllato la qualità del testo. Con questa edizione si inizia anche ad affiancare al testo ebraico una traduzione italiana che è il risultato di una lavoro complicato di riadattamenti, ora solo all’inizio.
L’ebreo romano che legge Ekhà al lume di candela si porta a casa la candela e la conserva fino all’inverno: gli servirà per accendere la Chanukkiyà: “Meèvel leyòm tov, meafelà leòr gadòl”, “dal lutto al giorno festivo, dal buio alla grande luce”.
Mentre salutiamo l’uscita di questa nuova edizione, ci auguriamo che presto, e magari già quest’anno, non ci sia più bisogno di usarla perché quando la ricostruzione ci sarà, il 9 di Av sarà solo un brutto ricordo del passato. Nel frattempo compiamo i nostri riti nella certezza che “chi fa lutto per Gerusalemme avrà il merito di vederne la consolazione”.
Shemuel Riccardo Di Segni
’Arvìt 2 ערבית
Meghillàt Ekhà 28 מגילת איכה
Shachrìt שחרית
Benedizioni del mattino 54 ברכות השחר
Zemiròt 62 זמירות
Yotzèr 86 יוצר
Kinnòt 107 קינות
Sèfer Torà 130 הוצאת ספר תורה
Parashà 134 קריאת התורה
Haftarà 137 הפטרה
Meghillàt Ekhà 148 מגילת איכה
Minchà 168 מנחה
Sèfer Torà 176 הוצאת ספר תורה
Parashà 178 קריאת התורה
Haftarà 184 הפטרה
La traduzione che affianca il testo ebraico ha origine dall’edizione del 1856 del Machazòr di rav Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl), uno dei più grandi maestri dell’ebraismo italiano dell’era moderna. È su questa prestigiosa versione che Costanza Coen ha iniziato nel 2000 a elaborare un testo che tenesse conto sia delle brillanti intuizioni dell’autore, profondo conoscitore della lingua ebraica, sia della necessità di arrivare oggi a un italiano comprensibile a tutti. Questo lavoro è stato successivamente esteso ed elaborato da altri collaboratori fino all’attuale versione, utilizzando anche testi di allievi del Luzzatto e di maestri a noi più vicini, come l’enciclopedica edizione di rav M.E. Artom z.l.
Dove possibile, la traduzione originale è stata resa più aderente al senso letterale del testo ebraico, uniformando la corrispondenza tra i frequenti sinonimi e la loro trasposizione in italiano.
È chiaro che così operando potremmo aver trasgredito a molti criteri storici e filologici, e agli esperti vanno da subito le nostre scuse. Tuttavia, il progetto dei siddurìm di Morashà, in tutte le loro edizioni, ha avuto soprattutto l’intento di offrire al pubblico italiano strumenti accessibili per poter adempiere a un precetto divino, quello della tefillà, con un’immediatezza che non ponesse ostacoli alla comprensione, perlomeno superficiale, dei brani recitati in ebraico.
La redazione
Benè Romi è il nome con cui vengono chiamati gli ebrei di rito italiano nella letteratura rabbinica talmudica, dove ne vengono descritte le specifiche usanze, sin dai primi secoli dell’era volgare (p.e. TB Pesachìm 53a). Il primo siddùr di preghiere mai stampato al mondo è quello per gli ebrei italiani (Soncino 1485). Una edizione di poco posteriore (Bologna, 1540) è servita da supporto per la presente pubblicazione. Numerose altre edizioni si sono aggiunte nel tempo. Particolarmente degna di nota è quella curata da Shemuèl Davìd Luzzatto (Shadàl: Livorno, 1856), con un’ampia prefazione in cui il rito italiano viene studiato e descritto per la prima volta (rist. D. Goldschmidt, Mavò le-Machzor Benè Roma, Tel Aviv, 1966). Il Novecento ha visto diverse pubblicazioni: ricordiamo quelle di A. Hasdà (Torino, 1905), D. Camerini (Torino, 1916) e nel secondo dopoguerra quelle di D. Prato e D. Panzieri a uso della Comunità di Roma, mentre D. Disegni curava edizioni particolari per le Comunità di Torino e Milano; va ricordata infine quella più recente di M.E. Artom con le varianti di tutte le Comunità.
La collana Siddur Benè Romi si aggiunge a questa antica tradizione dal 1999, data in cui viene pubblicata una prima edizione a uso privato del siddùr per i giorni feriali e shabbàt, fino a coprire quasi tutte le ricorrenze del ricco calendario liturgico ebraico. Caratterizzano la collana la nuova composizione elettronica dei testi (i siddurìm precedenti venivano riprodotti in anastatica con evidente degrado della leggibilità); una costante redazione critica degli stessi, che facendo riferimento a tutte le edizioni precedenti, tenga conto dei minhaghìm in uso oggi nei diversi battè hakkenèset; un’impostazione grafica che ne esalti la leggibilità e chiarisca quali sono i brani di competenza del singolo e quali del solo chazàn; delle brevi note halakhiche che possano essere finalmente di guida a chi riconosce nella tefillà non solo un bisogno del cuore, ma anche una dettagliata mitzvà; una punteggiatura ebraica moderna più comprensibile; l’uso di convenzioni grafiche che facilitano la partecipazione alla tefillà in pubblico (parentesi tonde per i brani sottovoce, parentesi quadre per quelli in coro, triangolini grigi per i punti in cui ci si inchina).
È ferma convinzione dei redattori che non solo la sopravvivenza, ma lo sviluppo e la crescita delle specifiche tradizioni comunitarie debbano essere sostenute, oltre che dalla buona volontà dei singoli, da strumenti culturali costantemente aggiornati. Speriamo che il Siddùr Benè Romi possa essere uno di questi.
La redazione
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